Il Napoli del futuro ostaggio della Champions League. Cosa farà da grande la società azzurra?
di Boris Sollazzo
“Nino, qui si fa l’Italia o si muore”. Calatafimi, maggio 1860. Garibaldi lo dice a Bixio.
“Aurelio, qui si fa il Napoli o ce ne andiamo”. Più o meno questo deve aver detto Rafa Benitez, poche settimane fa, dando al presidente la lista di ciò che serve alla società azzurra per diventare davvero grande. Ciò che è necessario perché si tenga i suoi assi. Quali sono? L’allenatore madrileno in primis, poi Gonzalo Higuain, bomber più desiderato d’Europa e José Maria Callejòn, sogno proibito di Arsenal, Atletico Madrid e, ultimamente, pare pure del Manchester United. E anche Dries Mertens potrebbe far le valigie – pur avendo detto il procuratore che “la Champions non è una condizione per la sua permanenza” - in caso di un esodo come questo.
Cosa succederà a questo Napoli, nel pieno di una crisi di crescita? Troppo grande per fare la provinciale, troppo piccola, ancora, per essere una big. E con un fatturato consistente, cresciuto di anno in anno, ma ora sbilanciato a favore delle uscite: marketing e merchandising, in ascesa grazie all’ottimo lavoro del dirigente Formisano e alle intuizioni del presidente, hanno però rallentato il passo, soprattutto rispetto agli ingaggi dei giocatori, sempre più pesanti. Il Napoli, insomma, in campo e fuori, ottiene grandi risultati ma fatica sempre ad avere un equilibrio. Se è tra le poche società a rappresentare un modello per il fair play finanziario – otto bilanci in attivo, plusvalenze straordinarie, aumento esponenziale del valore di una società che in dieci anni è passata da costare 30 milioni ad almeno 300 -, è anche vero che potrebbe, senza l’Europa, subire un disavanzo annuale di 70 milioni di euro (190 di spese, 120 di entrate come dice il collega Bellinazzo, vera autorità in materia di analisi di economia calcistica) E così avviene in campo: attacco da sogno, tra i migliori del Continente, ma con gli altri reparti neanche lontanamente all’altezza della prima linea. Non è un caso: il salary cup azzurro si differenzia tra difesa, centrocampo e attacco. Se Criscito, Bale e Vidal, negli anni, non sono arrivati, è per questa regola interna, tanto per dire.
Rafa Benitez è stato il colpo grosso di Aurelio De Laurentiis, due estati fa: dopo il rianimatore Reja, che ha ricostruito un’identità e ha restituito il Paradiso alla città di Napoli traghettandola dalla C all’Europa League, dopo il fallimento Donadoni e il ciclo Mazzarri, efficacissimo nel portare una squadra bruttina ai vertici, valorizzandone campioni ancora incompiuti, decise di andare oltre. Di non essere la sorpresa virtuosa, ma essere una grande europea. E così in quei giorni caldissimi prende un top coach, trionfatore in Champions League con il Liverpool e in Europa League con il Chelsea, artefice del miracolo Valencia. E con lui, complice l’affare Cavani, ecco la colonia dei galacticos: il Pipita, chiuso al Real da Benzema, Callejòn, dodicesimo uomo di Mourinho, il già campione del mondo Raul Albiol. E non solo.
Arrivano così la Coppa Italia e la Supercoppa italiana, ma anche un campionato dove la sorpresa Roma distrugge anzitempo le ambizioni partenopee più inconfessabili. Arriva il record di punti, di vittorie in trasferta e di gol, ma anche l’eliminazione ai preliminari dell’Europa che conta. Un 2014 che offre un Napoli vincente, ma anche che certifica una difficoltà a fare l’ultimo salto di qualità. Un anno in cui la squadra giallorossa viene battuta, anzi schiacciata, ben tre volte, la Juventus due (una ai rigori, ma è quella che conta), dopo che a fine 2013 sono stati dominati Arsenal e Borussia Dortmund. Ma poi ci sono i 3-3 in casa di questa stagione o i 17 punti buttati con le piccole nella scorsa.
Rafa ha arricchito la bacheca di Castel Volturno di due trofei. Il venti per cento di quelli vinti in tutta la storia dalla società. Niente male. Ma poi quest’estate si è ritrovato un mercato asfittico, senza i suoi sogni Mascherano e Gonalons a impreziosire la rosa, con tutti i campioni confermati ma solo tre onesti faticatori (Koulibaly, De Guzman e David Lopez) e una sommessa (Michu) ad affiancarli. E lui ci aveva messo la faccia, dopo il drammatico 3 maggio in cui fu colpito a morte Ciro Esposito, dicendo che almeno due pezzi da 90 avrebbero giocato alle sue dipendenze. In più voleva un centro sportivo all’altezza, ma viene rinnovata solo la sala stampa e rifatte delle piscine. Nessun ampliamento – motivo per cui le giovanili non si allenano accanto alla prima squadra -, nessun vero miglioramento. E Rafa, che nel frattempo, sente ancora di più la mancanza della moglie Maria e delle figlie Claudia e Agatha, torna a Liverpool appena può. Una volta per provare a tenersi Pepe Reina e un’altra per portarsi via Lucas Leiva. Nulla di fatto, ma da quelle parti Brendan Rodgers non va più per la maggiore, Gerrard saluterà quest’anno, pesa ancora lo scudetto sfumato nel 2014 per un errore del capitano in Liverpool-Chelsea e con un 3-0 che diventa 3-3 contro il Crystal Palace, nemesi dell’impresa beniteziana contro il Milan. I Reds vogliono Rafa, la famiglia tifa per un ritorno a casa, visto che le donne del mister non si sono mai trasferite sul Golfo. Un bivio: per Rafa, per Aurelio, per il Napoli. Sentimenti, denaro, vittorie, maturità. C’è tutto sul tavolo e verrà deciso in poche settimane. L’allenatore lo dirà al presidente, se rimarrà, a metà febbraio e lo comunicherà alla squadra e all’esterno ad aprile. Senza di lui, i sogni si rattrapirebbero: Mihajilovic sarebbe un nuovo Mazzarri, Montellla una bella scommessa, Capello, per intercessione di Reja, un grandissimo poco adatto, forse, all’ambiente e un po’ scarico.
Rafa ama Napoli, ricambiato. Le sta insegnando a vincere. Deve rimanere. Ma probabilmente non lo farà: famiglia, passato e voglia di vincere lo chiamano altrove. Con lui se ne andrebbe sicuramente Callejòn, mentre Higuain, che si è più affezionato a pubblico e città, forse potrebbe dare un altro anno agli azzurri, soprattutto se dovesse arrivare la Champions League. E magari lo stadio, con il nuovo assessore allo sport Ciro Borriello che con De Magistris sembra aver trovato un canale di comunicazione con la società (concessione più breve, ma Comune più coinvolto nella ristrutturazione radicale del San Paolo). Gonzalo sa che non troverebbe molti che gli darebbero i 5,5 milioni che prende a Napoli e ancora meno sono quelli che possono avvicinarsi alla clausola rescissoria monstre (quasi 100 milioni di euro). José, invece, potrebbe andare a prendere il doppio o il triplo. Vialli e Mancini, in un altro calcio, rimasero con Mantovani e Boskov, Maradona e Careca con Ottavio Bianchi e Ferlaino. E vinsero laddove sembrava impossibile. Spagnoli e argentini faranno lo stesso nel capoluogo campano?
In questi mesi, insomma, o si fa il Napoli, o si muore.
(da Il Garantista del 22/01/2015)