Quando i Blue Lions “diedero la carica” ai veronesi sotto la loro curva
di Errico Novi
È tutto vero, intendiamoci. Verona troppo provinciale per misurarsi con la passione partenopea. L’indole destrorsa degli ultras gialloblu frustrata dalla nostra apolitica goliardia. La sostanza è quella, eppure all’origine della feroce rivalità tra i tifosi azzurri e quelli dell’Hellas c’è anche un misconosciuto episodio. Un “fattaccio” dell’epopea ultras. Che merita di essere raccontato, per completare la ricostruzione avviata con la prima e la seconda parte di questa storia.
Il gemellaggio fallito
Si deve partire dal 1983, da un Napoli-Verona giocato il 2 gennaio, con il fragore dei botti ancora nell’aria di Fuorigrotta. Al San Paolo quella domenica si presenta una temeraria pattuglia di tifosi del Verona, un centinaio quasi. Fatto che di per sé ha qualcosa di incredibile: quelli sono anni in cui la trasferta a Napoli è impresa per pochi. Vengono in gran numero i romanisti, ovviamente, tranquillizzati dal gemellaggio. Si affacciano Fossa e Brigate del Milan, che vantano un’amicizia molto forte con i Blue Lions. Dopodiché i tifosi ospiti in genere si riducono a qualche presenza vip che può permettersi il biglietto di tribuna, o a juventini e interisti che si mimetizzano senza esibire striscioni. Veronesi campioni di coraggio, dunque? Non proprio: possono confidare, udite udite, nella calorosa accoglienza del Commando ultrà di Gennaro Montuori. Ebbene sì, in quegli anni Palummella si afferma sempre più come capo carismatico della curva B, e impone la sua linea fatta anche di imprevedibili aperture pacifiste. I gialloblu si sistemano inizialmente nello spicchietto dei distinti inferiori attaccato alla curva B, poi Montuori li invita a spostarsi su dove si trova lui con il suo Cucb. Già in quel breve tragitto tra i settori dello stadio si apre la prima crepa: arrivano i Blue Lions, che all’epoca occupano la curva A. Accompagnati da una delegazione della Sud milanista, vanno a rompere le uova nel paniere del nascente gemellaggio: intercettano i veronesi, prendono loro qualche sciarpetta, volano sberle. Montuori si arrabbia parecchio. Ma poi il resto della partita fila via liscio, almeno sugli spalti. Sul campo i ragazzi del Petisso Pesaola e di Gennaro Rambone perdono 2-1, con Fanna che sigla una doppietta.
Battaglia campale al Bentegodi
Certo si fa fatica a credere che tra napoletani e tifosi dell’Hellas ci sia stato addirittura un tentativo di gemellarsi. A pensarci oggi sembra lunare. Eppure le cose andarono proprio così: Palummella è stato sul punto di cambiare totalmente il corso di questa storia. Gli ultras partenopei suoi dirimpettai non glielo consentirono, diciamo. E anzi alla gara di ritorno fecero in modo da segnare definitivamente le “relazioni diplomatiche”, aiutati dal rancore delle Brigate gialloblu. Siamo all’8 maggio 1983, a una penultima di campionato che proietterà Verona alle vertiginose altitudini della Coppa Uefa, con noi ancora incerti della salvezza. I Blue Lions sanno che l’accoglienza non sarà benevola, almeno per loro. Si radunano in zona piazza Garibaldi, il pullman tarda parecchio, tanto che buona parte del gruppo rinuncia prima che il torpedone si materializzi. Alla fine ne restano una ventina, una corsa folle in autostrada e sono nella città di Giulietta, proprio davanti alla curva sud degli ultras avversari. Scendono e che fanno? Tirano fuori un Super Santos e si mettono tranquillamente a giocare a pallone nello spiazzale davanti allo stadio. I butei non osano infastidirli. Arriva un gruppetto di skin e uno sfodera un coltello: basta un’occhiata dei ragazzi venuti da Napoli e lo rinfodera. Nel frattempo al Bentegodi sopraggiungono anche il Commando ultrà di Palummella, Fedayn, Fedelissimi e i napoletani del Nord Italia, come al solito in gran numero. Si sistemano tutti in curva nord e si beccano la cerimonia di benvenuto: dal settore delle Brigate partono cori su terremoto, colera e tutto l’armamentario in uso ancora oggi. In campo finisce 0-0, l’armata azzurra rompe le righe e ognuno va a recuperare i propri mezzi di trasporto.
Ed è qui che si consuma il fattaccio. Perché appunto i Blue Lions avevano lasciato il torpedone a pochi passi dalla Sud. Ci devono per forza passare davanti. Ben motivato dagli insulti razzisti scanditi prima, durante e dopo il match dai veronesi, il gruppo ultras partenopeo si presenta sotto al settore degli avversari. È accompagnato anche da alcuni Fedayn e un drappello di milanisti, con i quali c’era come detto un solido gemellaggio: la delegazione della Fossa è venuta apposta da Milano anche stavolta, è guidata da un certo “Virdis”, così soprannominato per la somiglianza col baffuto attaccante. L’innesto rossonero contribuisce a innalzare la tensione, considerata la storica inimicizia tra milanisti e gialloblu. La pattuglia così formata, anziché sfilare con indifferenza davanti al settore dell’Hellas, carica gli ultras veronesi. In trasferta, sotto la loro curva: incredibile. Ne viene fuori una vera e propria battaglia campale. Così la racconta un “vecchio leone” partenopeo: «Furono diversi minuti di furia assoluta, in mezzo a macchine, motorini e biciclette parcheggiati davanti allo stadio. Parliamoci chiaro: oggi è impensabile che una tifoseria ospite arrivi sotto la curva dei padroni di casa e lanci una carica. Noi lo facemmo. Eravamo poche decine di persone. A un certo punto», prosegue il nostro amico nel racconto, «i veronesi coinvolti negli scontri si videro in difficoltà e alcuni di loro risalirono in curva a chiamare quelli rimasti ancora nello stadio. Ci ritrovammo in una piazzetta che portava alla strada dove avevamo lasciato il nostro pullman, noi in trenta e loro qualche centinaio. Rischiammo, e molto. Ci compattammo, ci mettemmo ad aspettare che ci attaccassero. Ma i veronesi anziché venire addosso a noi andarono a sfasciare il nostro pullman. Poi arrivò la polizia: uno dei capi di quel reparto celere era napoletano e li finì di sistemare. Ma intanto ci dovemmo rimettere in viaggio col mezzo così malridotto che per chiudere i finestrini usammo gli striscioni».
L’assedio veronese a Palummella
Ecco. Gemellaggio definitivamente accantonato. Anzi, guerra dichiarata. Gennaro Montuori era ancora più inviperito di quanto non fosse già dopo il Napoli-Verona dell’andata. Discussioni a Napoli tra i capi dei gruppi. E inevitabile sequel nel campionato successivo. Quello, per intenderci, in cui il Napoli schierò un grande brasiliano preso proprio dal Verona, José Guimaraes Dirceu. E qui il filo si riannoda ai racconti precedenti di questa saga. In particolare al famoso striscione “ora non sei più straniero, Napoli ti ha accolto nel continente nero”. È il 20 novembre 1983, Verona-Napoli, girone d’andata. La tifoseria azzurra si mette in viaggio verso il Bentegodi a ranghi ridotti: tira aria di contestazione, la squadra va peggio dell’anno prima e Ferlaino è di nuovo nella bufera. Non manca però il Commando ultrà di Palummella. Il quale non esclude di poter chiarire i “malintesi” della stagione precedente: a lui in effetti la situazione era sfuggita di mano, per via dei Blue Lions e della loro amicizia con i milanisti. Ma oltre al brutto drappo su Dirceu, a fine gara (risultato 1-1, indimenticabile gol di Bruscolotti) si registra un altro “increscioso” fattaccio ultras: le Brigate gialloblu inseguono Gennaro Montuori e alcuni ragazzi del suo Cucb fin dentro un bar. Grande disparità di forze: un centinaio almeno contro un piccolo gruppo di partenopei. Si rischia molto anche stavolta: ma uno dei capi della Sud scaligera interviene e ordina di non passare a vie di fatto. «Non è con voi che ce l’abbiamo, ma con i Blue Lions. Il vostro striscione però lo lasciate qui». Minacciati da forze soverchianti, gli Ultrà della “B” sono costretti a cedere la “pezza” da trasferta. È quella a sfondo bianco e scritte in azzurro che vedete esibita dalla curva veronese nella seconda foto di questo articolo (potete visualizzarla cliccando sui margini laterali della prima foto).
Montuori torna ancora più infuriato. Stavolta il faccia a faccia con Faiella, Morra, il Barone e gli altri capi dei Lions è, se possibile, ancora più aspro. Non sarà l’ultima volta che gli ultras delle due curve napoletane entrano in conflitto tra loro. Soltanto tre anni più tardi, all’inizio della magica stagione 86-87, quella del primo scudetto, la tifoseria azzurra si compatterà, con lo spostamento di Blue Lions e Fedayn in curva B, al fianco del Cucb. Così come altri e pure assai duri furono gli scontri tra gli ultras partenopei e le tifoserie avversarie. Il caso veronese è unico però per l’incredibile ribaltone: da un gemellaggio praticamente già consumato agli scontri del girone di ritorno. Quella battaglia sotto la Sud scaligera fu violenta come ce ne furono in molte città, certo. Ma alla fine a fare la differenza, a spiegare tanto odio, sono soprattutto le ragioni che abbiamo ricordato nel primo articolo di questa “trilogia”. Dal provincialismo alla consuetudine con i meridionali che qui, diversamente da Milano e Torino, non c’è. Solo a Verona la tifoseria locale riversa sui napoletani una rabbia così viscerale, un odio così irriducibile, mai scalfito da un lampo d’ironia. L’ironia con cui noi partenopei, dallo striscione su Giulietta in poi, li abbiamo puntualmente messi al tappeto.