Verona-Napoli, storie di odio e di ultras (seconda parte)
di Errico Novi
Nella saga di Verona-Napoli si intromettono citazioni di ogni tipo: non c’è opinionista sportivo che manchi di ricordare lo striscione su Giulietta, ma spesso si confondono le date e i contesti. Sta di fatto che la rivalità viene annoverata ormai tra quelle storiche del calcio italiano. Con qualche buona ragione, evidentemente.
Il campo del Verona violato dagli ultras azzurri
Resta memorabile per esempio un’altra trasferta dei partenopei al Bentegodi, quella del 10 settembre 1989. Siamo a inizio campionato e gli azzurri si presentano privi di Diego (che alla fine della stagione precedente ha chiesto inutilmente di essere ceduto al Marsiglia). Il seguito di tifosi è massiccio ma ora prevalgono i gruppi ultras, rispetto all’eterogenea massa di aficionados che aveva invaso Verona nell’84. Una parte della tifoseria napoletana si sistema nell’anello inferiore della curva nord. Alla fine della partita, vinta per 2-1 dal Napoli, decine di ultras partenopei scavalcano le barriere e invadono il campo: non vanno a caccia di magliette e souvenir feticisti, e infatti Careca, Mauro e gli altri azzurri tornano abbastanza tranquillamente negli spogliatoi. I supporters napoletani vanno dritti verso la curva sud trascinati da un orgasmo adrenalinico a fare ogni genere di gestacci sotto il naso dei veronesi. E le immagini che postiamo sotto questo articolo mostrano come i butei impazziscano di rabbia con inutili invettive sacramentali all’indirizzo dei nemici. L’onta del terreno di gioco violato entra negli annali.
Le ventimila banane e i veronesi invisibili
C’è da dire che a Napoli non viene quasi nessuno in trasferta. Nell’anno del nostro primo scudetto, per esempio, si ricordano solo i romanisti da tempo gemellati (che si sistemano infatti a piccoli gruppi in vari settori del San Paolo, confusi senza problemi tra i tifosi del Napoli), i davvero eroici atalantini, che seppure in poche decine si appostano coraggiosamente nell’anello inferiore della curva A, e i viola che assistono alla festa tricolore del 10 maggio 1987. Veronesi non pervenuti neppure il 21 gennaio del 1990, quando la curva B accoglie i gialloblù con ventimila banane di cartone e il coro “veronese ciuccia la banana”. Ad apprezzare lo spettacolo sono appunto solo i giocatori di Osvaldo Bagnoli: di tifosi scaligeri non ce n’è manco mezzo. Le cose cambiano dopo i Mondiali del ’90. Strane coincidenze spianano la strada alla pay-tv con un’impressionante militarizzazione degli stadi. Da una parte seguire la propria squadra fuori casa inizia a richiedere la disponibilità ad essere sequestrati dalla polizia nel settore ospiti per almeno un paio d’ore oltre il 90°. D’altra parte tifoserie che si sentivano troppo esposte in determinati campi prendono coraggio proprio per il rafforzamento delle scorte ordinato dal Viminale. Succede anche ai veronesi, che si presentano al San Paolo in genere in un paio di centinaia.
Vengono giù dai monti del Tirolo
Di sicuro il campionario dei cori veronesi è tutto particolare. È sempre stato così, almeno da quando esiste il fenomeno ultras. La curva sud scaligera spedisce avanguardie a osservare le gesta delle firms d’Oltremanica e poi importa il repertorio al Bentegodi. Sono i primi a cantare l’inno inglese, per esempio. E quando tutte le curve d’Italia ancora adottano l’ecumenico “Alé-oò”, loro rivisitano il coro per farne esclusivamente un inno a un loro giocatore, Domenico Volpati. Negli anni questa ricercatezza si complica. In una delle prime apparizioni a Fuorigrotta, siamo nel settembre del ’91, i gialloblù esibiscono bandiere austriache e si lasciano scappare un “veniamo giù dai monti/ dai monti del Tirolo”. Se qualche napoletano si avvicina al divisorio del settore, loro gli cantano “facci la pizza/ terrone facci la pizza”. Una fantasia dark, diciamo. Quella partenopea è decisamente più lineare e divertita.
E venne il giorno di Giulietta
E così nella sfida che si gioca a Fuorigrotta a inizio dicembre del ’96 la curva B ripropone la coreografia delle banane ed espone l’ormai celebre striscione: “La storia ha voluto: Giulietta zoccola e Romeo cornuto”. Simboli apotropaici e citazioni shakespeariane portano bene: il Napoli vince quella partita per 1-0 con una bomba di Mauro Milanese a pochi minuti dalla fine. Balza al secondo posto in classifica: una specie di miracolo ad opera del serafico Gigi Simoni. Ma l’Italia s’accorge soprattutto dello sfottò su Giulietta e legittimamente ride. Gioco, partita e incontro, si direbbe. Eppure no, la storia va avanti. Dopo qualche anno infatti i gialloblù saranno i primi a cantarci Oj vita oj vita mia in segno di scherno.
’O surdato ’nnammurato in veronese
Ferlaino caccia Simoni pochi mesi dopo quell’1-0 contro gli scaligeri. Sì, il rendimento degli azzurri se n’è sceso, la zona Uefa scappa via, ma in un’indimenticabile notte di febbraio gli azzurri conquistano la finale di coppa Italia, con una vittoria ai calci di rigore contro l’Inter. Il presidente del Napoli accusa però l’allenatore di essere troppo distratto dall’accordo che lo porterà ad accasarsi a fine stagione proprio con i nerazzurri. E lo esonera. È l’inizio del nostro travaglio. Che conosce uno dei passaggi più dolorosi nel torneo 2000-2001, l’ultimo in serie A prima dell’avvento di De Laurentiis. Mondonico sembra aver risvegliato la squadra ma l’illusione si spegne proprio al Bentegodi, il 14 gennaio 2001. Azzurri in vantaggio a un quarto d’ora dalla fine con un capolavoro di Bellucci da 25 metri, poi frana tutto e il Verona rimonta: 2-1 finale e i gialloblù travolti dall’emozione intonano a squarciagola Oj vita oj vita mia. La cantano in ventimila, il coro rimbomba come un incubo nella testa dei cinquemila partenopei. Ma di lì a poco avremo ben altro di cui preoccuparci. E lo stesso Verona tornerà opportunamente in serie B.
La farsa del volantino
Ottobre 2002, Verona-Napoli è di scena nel campionato cadetto. Una settimana prima si gioca Napoli-Sampdoria al San Paolo, e gli ultras della curva A espongono uno striscione: “Tutti a Verona”. Diffondono pure un volantino con il testo di un coro, che non è molto conosciuto se non dai direttivi dei gruppi. Il motivetto è quello di “Sarà perché ti amo” dei Ricchi e poveri, adattato così: “Passamontagna/ bastone nella mano/ È il momento/ che noi aspettavamo/ E col Verona/ c’è un odio che non muore/ Non ce ne frega/ di andare in prigione…”. Sì, pesante, ma l’idea è semplicemente quella di far cantare a tutti una canzoncina metricamente ben riuscita ed eccitare i dubbiosi sulla trasferta della domenica dopo. La Digos invece trova che il coro non suoni bene e individua nel volantino non uno spartito ma un dispaccio militare con invito ad armarsi di passamontagna e bastone. Vengono arrestati alcuni capitifosi azzurri. Al Bentegodi comunque si presenteranno quattromila partenopei, in gran parte partiti in treno da Napoli: un record di presenze per una trasferta così lontana e per una squadra che galleggia a metà classifica in serie B. Segno che l’obiettivo del volantino era semplicemente la mobilitazione di un numero più alto possibile di tifosi.
Bye bye Verona
Ci vogliono altri cinque anni per incontrarsi di nuovo. E sarà una goduria per noi indimenticabile. La fine di anni di sofferenze sportive, culminate nel fallimento del club e nella discesa in serie C. Il 26 maggio 2007 il Napoli va a prendersi a Verona 3 punti decisivi per il ritorno in A, e prefigura agli scaligeri la loro retrocessione in terza serie. Lì l’Hellas resterà per tre stagioni. L’1-3 del Napoli al Bentegodi è contrappuntato però anche dalle violente intimidazioni che alcuni telecronisti napoletani ricevono da esagitati scaligeri in tribuna numerata. Vecchi reduci delle Brigate che trovano doveroso accomodarsi nelle poltrone centrali, lontani dalle gradinate di un tempo. Carlo Alvino e altri colleghi vedono messa a rischio la loro incolumità. Ma in modo del tutto volontario la mette in pericolo anche l’attore veronese-partenopeo Francesco Brandi. Anche lui è in tribuna, in mezzo ai gialloblù. Al gol dell’1-3 di Dalla Bona, restituisce in versi tutte le maleparole udite in anni di becerume. E, come potete leggere nel suo splendido racconto pubblicato su #chevisietepersi del nostro Boris Sollazzo, comincia a correre per la felicità. (2 – fine. Clicca qui per la prima parte)