“Aspetto con interesse il debutto di Rog”: fine delle trasmissioni tra ADL e Sarri
di Francesco Bruno
“In primavera capiremo se potremo essere allegri come ci auguriamo. Aspetto con interesse il debutto di Rog”. Poche, stringate parole e anche uno come me, inguaribile ottimista fautore della tesi che quella tra Sarri e De Laurentiis sia soltanto una normale dialettica allenatore – presidente, si deve arrendere alla dura realtà. Magari a fine campionato capiremo che queste erano solo schermaglie degne di un copione cinematografico – ecco, torno a non voler accettare l’evidenza -, ma i fatti sono lì a dimostrare che il rapporto tra il mister e il presidente, a colpi di interviste, comunicati e tweets, perde pezzi giornata dopo giornata e si sta logorando lentamente.
Sarà che non è facile riproporsi agli stessi livelli dopo un’annata straordinaria, sarà l’aria che si respira in quel di Castelvolturno, fatto sta che a Sarri sta capitando quello che accadde anche Mazzarri e a Benitez. Ad un certo punto, generalmente durante il secondo anno di permanenza sulla panchina, gli allenatori del Napoli iniziano tutti ad essere affetti da una strana sindrome. Iniziano a parlare di bilanci, di fatturati, a trovare alibi ai limiti del comico, mostrano segni di fastidio a parlare con i giornalisti, diventano integralisti dal punto di vista tattico. Ed iniziano a mandare frecciatine a De Laurentiis che, da parte sua, non è certo uno che ha peli sulla lingua.
In principio fu Mazzarri a preferire bilanci e fatturati alle analisi tecnico - tattiche. Ma Mazzarri era mitico soprattutto perché riusciva ad accampare delle scuse quasi esilaranti per giustificare i suoi quando non si esprimevano al meglio. Una volta, quando era il vice di Ulivieri nel 1998, disse che il Napoli aveva perso in casa perché i giocatori avevano avuto la diarrea. Quando ritorno’ a Napoli da allenatore, dopo aver perso una partita di Europa League, se ne uscì in conferenza stampa che gli azzurri non erano concentrati perché era il compleanno di Cavani.
Poi tocco’ a Benitez. Che il giorno della sua presentazione a Castelvolturno parlava in tre lingue e coinvolse DeLa in una mitica conferenza stampa in inglese alla Toto' e Peppino. Parlava tutti i giorni, se non con i giornalisti napoletani parlava con spagnoli e inglesi o dal suo sito personale. Parlava di calcio, della città, di arte, era diventato una sorta di ambasciatore di Napoli all’estero. Parlava di tutto il primo anno, tranne che di bilanci. Ando’ a finire che ogni volta che incontrava la stampa dissertava di bilanci, fatturati, statistiche e sviste arbitrali, per poi annunciare a fine campionato in mondovisione il segreto di Pulcinella del suo divorzio da De Laurentiis.
Quando Sarri arrivo’ a Napoli non sembrava un integralista. Pensava di voler adottare un modulo di gioco, poi si rese conto di dover cambiare. Integralista pero’ lo è diventato ora, colpito dalla stessa, solita sindrome. Da quando si è infortunato Milik, pur di non apportare alcuna variazione tattica, da’ fiducia a tutti tranne che a Gabbiadini. Sembra spesso infastidito dalle domande dei giornalisti – a cui spesso risponde a male parole – e parla di bilanci, di cattiva sorte, interpreta le statistiche a favore suo e della squadra, tira stilettate al presidente che non perde occasione di rispondergli di rimando.
Insomma, questa sindrome del secondo anno è ormai conclamata. Certo, si potrebbe facilmente affermare che i rapporti tra De Laurentiis e gli allenatori peggiorano durante la seconda stagione perché, per dirla alla napoletana, si “scoprono gli altarini” e DeLa diventa “carta conosciuta”. Ma io non mi accodo al “papponismo” dilagante. Mi auguro solo che, se crisi del secondo anno deve essere, almeno abbia lo stesso epilogo del secondo anno di Walter Mazzarri.