Quei soliti 5 minuti di batticuore

La sofferenza nel finale degli scontri importanti è una caratteristica endemica del Napoli
  • it.eurosport.yahoo.com

    di Antonio Moschella

    Soffrire è nel DNA del tifoso napoletano. Vincere godendosi l’ultima mezz’ora comodamente appaciati sul divano o addormentandosi in poltrona non è un’abitudine, soprattutto quando le partite valgono tanto.

    Al Velodrome di Marsiglia ne abbiamo avuto la riprova: dopo aver dominato in lungo e in largo, un jolly pescato da Ayew ha sortito gli stessi effetti dell’autogol di Zuniga contro il Borussia e del gol di Balotelli a San Siro. Gli ultimi 5 minuti, più 3 di recupero, li ho vissuti in piedi sorseggiando compulsivamente una birra ormai calda, ma si trattava più di un gesto nervoso che la volontà di voler assaporare il buon nettare ambrato. La calma fino a quel momento ostentata lasciava spazio a scatti d’ira e i commenti tecnici venivano sostituiti da ingiurie in tutte le lingue possibili. Fino alla presa sicura di Pepe Reina che, accompagnata dal triplice fischio finale, ha posto fino alla mia ansia e a quella di tutti i tifosi azzurri.

    Se è vero che non esistono partite facili, è vero anche che il Napoli non vince senza soffrire. Tranne in casi rari, le vittorie importanti, da quando io ho memoria, sono sempre arrivate in maniera risicata e poche volte con più di un gol di scarto. Ero infatti troppo piccolo quando Fonseca rifilò 5 reti al Valencia e il primo impatto con l’isteria e l’angoscia della sofferenza furono nel lontano 1994, quando in Coppa Uefa una doppietta del Condor Agostini ci permise di sconfiggere il Boavista Porto, che ridusse le distanze nel finale. Risultato finale: 2 a 1. Guarda caso lo stesso dei trionfi contro Borussia, Milan e Marsiglia.

    Il Napoli sta provando a diventare grande. È secondo in classifica e tiene botta in Champions in un girone di fuoco, dove prevale l’equilibrio e nel quale si deciderà tutto alla fine. Nulla di nuovo, dunque, per noi tifosi che viviamo ogni partita, anche quelle meno prestigiose sulla carta, come una finale. Non smetteremo mai di urlare, imprecare, di alzarci dalla poltrona o dal sediolino dello stadio (se non siamo in piedi in una delle due Curve). È un segno che contraddistingue la nostra fede azzurra. Soffrire è un viatico per la vittoria. E pazienza se rimaniamo senza voce...

    Condividi questo post