Quanto è dura seguire Benitez, per questo strano Real Napoli
di Errico Novi
E se fosse proprio nel cuore del progetto, il granello di sabbia? E se il difetto che da un po' sembra aver intaccato l’ingranaggio di Benitez stesse proprio nel Real Napoli? Una sconfitta così pesa. Va superata, perché il calcio è anche l’arte di aspettare i 90 minuti successivi, e far esplodere la rabbia sul campo dopo averla trattenuta per giorni. Però le ultime sconfitte, compresa quella amarissima di ieri sera al Westfalenstadion, cominciano a insinuare un sospetto che mai si era avvertito a inizio stagione: e cioè che la filosofia di Benitez sia adatta a dispiegarsi sul lungo periodo, nell’arco di due o tre campionati, anziché a dare frutti immediatamente.
Rafa porta a Napoli una rivoluzione del pensiero. E forse ci ha scelti proprio per il gusto di cambiare ciò che sembra immodificabile. Forse ha capito prima ancora di firmare quanto noi napoletani siamo schiavi del virus fatalista. Diciamolo: non siamo un popolo abituato a confidare in se stesso. Casomai ci affidiamo con slancio alla provvidenza, al soprannaturale. Ma in genere scartiamo in partenza l’idea di poter cambiare il destino da soli. Ovviamente è così anche nel calcio. Nella sola età dell’oro che abbiamo vissuto, ci siamo spiegati i nostri successi in chiave soprannaturale: Diego è per noi D10S, e infatti finiva nelle edicolette votive. Vincevamo perché un semidio si era calato tra noi, almeno così era nel nostro immaginario. Nemmeno prendevamo sul serio l’idea di essere stati capaci di portare dalla nostra parte il più grande di tutti i tempi.
Di fronte a un popolo così Rafa Benitez arriva e dice: noi siamo vincenti. Anzi: noi siamo forti e possiamo vincere contro qualsiasi squadra al mondo, quando ci esprimiamo al meglio. Praticamente un trauma. Come prendere il Robertino di Ricomincio da tre e accompagnarlo di corsa in un bordello, altro che cazziatone tra i divani impolverati. Tanto il nostro straordinario allenatore è persuaso di doverci traumatizzare che ci impone il più offensivo dei moduli: quattro attaccanti e due terzini che spingono.
Ecco, questo è il punto. La terapia d’urto di Benitez può esserci senz'altro d'aiuto. A condizione che la terapia funzioni a dovere. E funziona? Diciamo che a un gioco come questo serve una cosa: il tempo. In astratto potremmo dire che basta una campagna acquisti da 200 milioni di euro, una carrellata di top player e il gioco è fatto. E invece non è così. Vi risulta che il Psg di Ibra abbia vinto la Champions, nello scorso mese di maggio? I progetti hanno bisogno di essere assimilati dal gruppo di persone con cui li si vuole realizzare. Poi naturalmente può darsi che già quest’anno il Napoli raggiunga il famoso cento per cento (ma siamo fermi tra il settandue e il settantacinque da un paio di mesi). Intanto abbiamo sotto gli occhi una squadra che vorrebbe schiacciare ogni volta gli avversari nella loro area di porta e che spesso si smarrisce per un passaggio sbagliato a centrocampo.
Ripetiamo: è un sospetto. E il vento della riscossa il più delle volte spazza via sospetti e paure in meno di un secondo. Ma intanto è lecito chiedersi se il gruppo allestito da De Laurentiis, Bigon e Benitez sia davvero adatto alla filosofia di quest’ultimo. Tante volte ci siamo detti che la mentalità vincente è incarnata proprio dai nuovi acquisti, dalla nostra colonia madridista. Solo che nelle ultime partite la sensazione è che i campioni ex galattici siano venuti meno proprio alla loro funzione principale, quella di trascinare gli altri. Higuain innanzitutto, ma anche Albiol e Callejon a ben guardare: non sono stati i peggiori, mai, ma neppure hanno suonato la carica. Perché? Non riusciamo a escludere che siano proprio loro i meno adatti al progetto di Benitez. Non hanno la fame degli arrampicatori (vi ricordano qualcosa Lavezzi e Cavani?) ma l’esperienza di grandi vittorie. E siamo sicuri che questa ci serva? Non è che il Pipita non ce la fa, a calarsi in un progetto così bisognoso di tempo, per esempio? Chi ha vinto con una divisa glorificata quanto quella del Real Madrid è davvero in grado di prendere per mano una squadra emergente e accompagnarla nel cammino verso la nuova gloria?
Non ci è piaciuto vedere Higuain, Albiol, Callejon, e lasciamo stare il piccolo e acerbo Mertens, perdersi nella furiosa carica degli affamati tedeschi. Li avremmo voluti vedere sputare il sangue davvero, mordere ogni palla come se fosse l’ultima, dire ai compagni «certo che loro sono più forti, ma noi siamo il Napoli». Lo abbiamo visto fare a Lavezzi e a Cavani in un recente passato. Ieri sera lo abbiamo visto fare solo a Insigne e Behrami. Che con la gloriosa maglia del Real non hanno mai giocato.