Benitez, Mazzarri e Mourinho: il triangolo no, non l’avevo considerato

Nel 2010 all’Inter l’allenatore spagnolo trovò le macerie lasciate dallo “Special One”. E anche ora i fedelissimi del tecnico toscano faticano a seguirlo
  • tempi.it

    di Domenico Zaccaria

    C’è una sottile linea che unisce due città che non si amano (Napoli e Milano) e i destini di tre allenatori (Benitez, Mazzarri e Mourinho) che mal si sopportano. Questa è la storia di due tecnici che, fatte le debite differenze (di trofei conquistati) riescono sempre a ottenere il meglio dalle proprie squadre, “spremono” i loro fedelissimi come nessun altro e cambiano aria quando sono convinti di aver ottenuto il massimo. Così fece Mourinho nel 2010, dopo aver conquistato il triplete con l’Inter, e allo stesso modo si è comportato Mazzarri alla fine della scorsa stagione dopo aver condotto il Napoli al secondo posto. “In questa piazza più di così non si può fare, a questo punto è meglio accasarsi altrove e ripartire”: il tecnico toscano ha usato parole più diplomatiche, ma il significato era proprio questo. Ora, curiosamente, a raccogliere il testimone di entrambi è stato sempre Rafa Benitez. E per sua sfortuna, a distanza di 4 anni, c’è un elemento che emerge ancora una volta in maniera chiara: i fedelissimi dei suoi predecessori faticano terribilmente a seguirlo. Ricordate i vari Zanetti, Cambiasso, Samuel e Milito, campioni d’Europa in primavera e giocatori irriconoscibili solo pochi mesi dopo? Confrontateli con gli attuali Maggio, Dzemaili, Inler, Pandev e il gioco è fatto. Problemi di collocazione tattica o atleti che, finito un ciclo, faticano ad aprirne un altro? Probabilmente tutte e due le cose messe insieme. Tra le due esperienze, per nostra fortuna, c’è una differenza sostanziale: nel 2010 Benitez chiese a Moratti 4, 5 innesti e gli furono tutti negati; ora, vi immaginate dove sarebbe il Napoli attuale senza Higuain, Callejon, Mertens e Albiol? A metà classifica, forse. Benitez, che è un uomo di calcio esperto e navigato, sapeva perfettamente che a Napoli avrebbe trovato le macerie lasciate da Mazzarri, e che il nucleo storico di quella squadra avrebbe digerito a fatica la sua rivoluzione. Per questo motivo continua a sostenere che ci vuole tempo, ricordando che Ferguson vinse il primo trofeo dopo 7 anni. Già, ma l’Italia, e in particolare una piazza come Napoli, sono pronte a questo cambio di prospettiva?  

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