Rafa Benitez e la rivoluzione. Del sorriso
di Domenico Zaccaria
Ci sono rivoluzioni violente e rivoluzioni silenziose. Rivoluzioni contro qualcuno e rivoluzioni per qualcosa. Rafa Benitez ha preso il Napoli, che dai tempi della serie B con Reja aveva una precisa impostazione tattica, e in due mesi l’ha rivoltato come un calzino. Senza mai andare fuori dalle righe, senza una lite, senza nevrosi. Sempre con il sorriso sulle labbra. Domenica sera, chi era nel tunnel di San Siro che conduce al campo da gioco, racconta di un Benitez che dispensava battute e consigli, pacche sulle spalle e allegria, come se la sua squadra si apprestasse ad affrontare un’amichevole estiva. Il risultato si è visto nei primi dieci minuti di gioco: gli azzurri sono entrati in campo senza alcun timore (quante volte in passato, nelle occasioni importanti, abbiamo rimproverato ai giocatori un approccio sbagliato a certe partite), hanno imposto il loro gioco e hanno gettato le basi per la vittoria finale. Al di là delle novità tattiche, l’atteggiamento dell’allenatore spagnolo rappresenta una novità assoluta; soprattutto in una città che, un po’ per storia un po’ per vocazione, si ritrova sempre a combattere contro qualcuno o qualcosa. Esattamente come la squadra di calcio, in particolar modo nei (rari) momenti di gloria. Quello di Maradona, ad esempio, era un Napoli che giocava contro i poteri forti del Nord: la Juventus di Agnelli e Platini prima, il Milan di Berlusconi e degli olandesi dopo. Basta riascoltare le interviste di Diego che, oltre a trascinare la squadra in campo, dopo il 90esimo si trasformava in paladino di un intero popolo, che dopo anni di subalternità aveva osato sfidare lo strapotere del Settentrione e, per questo, iniziava a dare fastidio. E che dire del Napoli di Mazzarri? In questo caso il vero leader, il parafulmine di ogni critica e lo strenuo difensore della squadra non scendeva in campo, ma sedeva in panchina. Un grande allenatore, Walter (lo sta dimostrando anche all’Inter), ma sempre in lotta contro tutti: contro gli arbitri, la sfortuna, Conte e Allegri; contro i giornalisti, colpevoli di non capire che il monte ingaggi doveva essere il parametro per giudicare i risultati di una squadra; contro la critica, che non sottolineava a dovere i meriti del suo lavoro e si concentrava sulle imprese di Cavani; contro la società, che gli chiedeva di puntare allo scudetto e poi non lo accontentava in sede di mercato. Un atteggiamento che aveva sì il merito di compattare la squadra e di farla reagire ai momenti di difficoltà, ma che finiva al contempo per limitarla, quasi per “consumarla” dal punto di vista nervoso, soprattutto alla vigilia dei grandi appuntamenti. E’ per questi motivi che la rivoluzione del sorriso di Rafa sembra ancora più eccezionale, pur nella sua normalità, in una piazza abituata da sempre a vivere di eccessi. Benitez non si stanca di ripetere che la città “è fantastica”, la presenza costante dei tifosi è “uno stimolo”, Conte è “un grande allenatore”, la società “ha accontentato le mie richieste”. Giocare per se stessi, e non contro tutti, non è detto che porti alla vittoria. Ma forse aiuta.