Francesco Colonnese "Napoli, compra Mangala"
Versione integrale dell'intervista pubblicata sul quotidiano "Il Garantista"
di Boris Sollazzo
Francesco Colonnese, faccia d'angelo ma diavolo in campo. A Roma, sponda biancazzurra, e Napoli ancora lo ricordano come un guerriero grintoso e insuperabile, nella Milano nerazzurra ha vinto tanto ma ha anche perso una grande occasione, più per colpe altrui che proprie. Uno come lui ora lo celebreremmo come un fenomeno, ai suoi tempi, con campionissimi nel suo reparto, sembrava un calciatore normale. Poi è stato un ottimo commentatore e ora è un allenatore capace e in attesa di spiccare il volo da solo. E, soprattutto, ha le idee chiarissime.
Non sarebbe servito un Colonnese martedì?
Parliamo di ottimi giocatori, ma forse sì. Hanno dato il massimo, ma non è bastato, anche giocando a tre, che mi sembrava la soluzione più logica per una squadra che non sembrava avere nelle qualità dei suoi calciatori la possibilità di schierarsi a quattro, se si esclude Barzagli. La difesa a tre è per i difensori puri, quelli vecchi scuola insomma, perché hai sempre un punto di riferimento, un giocatore che copre insieme a te, mentre a quattro i centrali si trovano spesso a subire l'uno contro uno. Con la prima crei superiorità numerica e il marcatore vero la preferisce, perché può permettersi l'anticipo, può avere un gioco più aggressivo, sapendo che può avere chi lo salva.
Ma di difensori veri, diciamolo, non ce ne sono più dalla sua generazione, i ragazzi dell'Europeo Under 21 del 1994
E' vero. Quando giocavo io avevamo i Maldini, i Cannavaro, i Thuram, i Nesta, gli Stam. Io arrivo alla Roma a 21 anni e imparo moltissimo da un campione come Aldair, grandi marcatori come Annoni e Lanna reduci da grandi vittorie, ma ovviamente gioco poco. Con gente come questa a farti concorrenza dovevi migliorarti costantemente per rimanere ad alti livelli, loro erano la tua pietra di paragone. Rimanere in serie A in quegli anni, ad alti livelli, era qualcosa di straordinario.
Ora il difensore è più centrocampista, si cerca la tecnica di palleggio, in fase di possesso. Ma ora i nodi vengono al pettine, il tesoretto del difensore rimane la propria porta, proteggerla dai pericoli. Se poi riesci a far ripartire l'azione, tanto meglio. Ma non puoi prescindere da quel primo obiettivo.
A proposito di mondiali. A Francia 1998 dovevi esserci anche tu, vero?
Altroché. Sembravo già dentro e con merito, aggiungo, quando Cesare Maldini in un colloquio mi disse che mi preferiva Bergomi, per l'esperienza, ma che il futuro sarebbe stato mio. Non fu così: l'anno dopo all'Inter andò male, la delusione dello scudetto mancato portò a un'insofferenza ingiusta verso un ottimo allenatore e a minare un grande gruppo che aveva Ronaldo, Zanetti, Simeone, Djorkaeff, Zamorano. La vita è così, ti fa brutti scherzi a volte.
Di sicuro, se tu fossi nato anche solo una dozzina d'anni più tardi, saresti stato convocato in Sudafrica e Brasile senza problemi.
Lo dico senza presunzione, ma ne sono abbastanza certo anche io, avrei di sicuro detto la mia in una rosa di questo tipo. Per il livello dei difensori attuale, devo essere sincero, un posto per me ci sarebbe stato eccome. Il mio calcio aveva un livello qualitativo altissimo che qui non ritrovo, semplicemente. Dipendeva anche dai nostri compagni e avversari: io sarei stato meno forte se non avessi marcato Ronaldo in allenamento. Fermando lui 2 o 3 volte su 100, so che sarei riuscito a farlo molto di più con tutti gli altri.
La sconfitta con l'Uruguay è la fine della carriera in federazione di Abete e Prandelli. Giusto che paghino loro?
Sì, perché il progetto tecnico, e non solo, è il loro. Cesare Prandelli ha avuto quello che voleva, Abete lo ha assecondato e in questi anni in cui il nostro calcio è crollato era lì, sulla poltrona più importante, e non è riuscito a cambiare nulla. Anzi. Apprezzo il gesto di entrambi, non scontato, ma non potevano fare altro. E non parliamo solo di Italia-Uruguay, una partita bloccata e nervosa, in cui si è cercato il pareggio anche 11 contro 11. Il modo in cui siamo usciti fa male, certo, ma questa spedizione è stata un fallimento enorme, un disastro totale.
E' anche la fine sportiva di Mario Balotelli?
Sì, nel senso che ha dimostrato, in questo mondiale, che non sarà mai un campione. Ha del talento, senza dubbio, ma non ha il carattere e la caratura del fuoriclasse. Rimarrà sempre quello che abbiamo visto a Brasile 2014. Niente di più.
In serie A chi vede meglio in questo momento?
Il mio Napoli. Conservo uno splendido ricordo dell'esperienza in azzurro, se mi avessero riscattato sarei rimasto volentieri, avrei anche rinunciato all'Inter. Mi piace molto Rafa Benitez e il fatto che il presidente Aurelio De Laurentiis lo ascolti ed esaudisca le sue richieste: e ha fatto bene, ha portato giocatori eccellenti, come Callejòn e Mertens. E credo succederà anche quest'estate. Spero che portino un altro grande difensore al San Paolo, oltre a Raul Albiol, un grande, e Fernandez, che a quattro ha dimostrato di essere un calciatore di ottimo livello. A quest'ultimo è bastato giocare nel suo ruolo naturale per far vedere quanto valesse, non essendo veloce e aggressivo, è fatto solo per un reparto arretrato a quattro. E ricordiamo che tornerà Zuniga, fondamentale, di fatto un top player. Sul centrale sento tanti nomi, ma non quello di Mangala del Porto: fisicamente fortissimo, implacabile di testa e tecnicamente capace. Ma qui da noi nessuno lo cerca, e lo trovo stranissimo.
Dopo aver fatto il secondo di Mutti e Serena al Padova, ora cosa l'aspetta?
Spero un bel progetto fatto di giovani da scoprire e prospettive solide. Ho avuto varie proposte, ma non voglio cominciare all'avventura. Confesso di essere molto affascinato dalla figura di Mourinho, in panchina e anche fuori. Quell'arroganza che protegge sempre il suo gruppo di ragazzi: mi piacerebbe essere simile a lui, magari meno eccessivo.
E' più dura per un ragazzo del sud farcela nel calcio?
Certo, se fossi nato a Milano e non a Potenza, a Francia 1998 ci sarei andato. E' il destino di chi è nato al Meridione: per le strutture, i campi e il sistema carenti, ma anche perché il nostro dna, per tutti questi motivi e pure per i pregiudizi di cui siamo oggetto, è fatto di sofferenze e sacrificio, cresciamo con quella rabbia che ci porta a farcela.
Senta, dopo la disfatta, ci consoli con il ricordo di una sua vittoria azzurra
L'europeo under 21 con Cannavaro a fianco a me sia in campo che in camera e Panucci titolare, con Toldo in parte, alzando la coppa davanti ai Figo, ai Rui Costa, ai Fernando Couto, battendo in semifinale Zinedine Zidane. Vien proprio da dire “altri tempi”.