Né pessimista, né ingenuo, ma non crederci è da perdenti
di Dario Bevilacqua
In questa sezione di calciomercato i tifosi del Napoli sembrano divisi su due posizioni abbastanza polarizzate (toh, che novità!): chi si dà perso in partenza e chi invece si vede (addirittura) favorito per lo scudetto.
Non vorrei sembrare democristiano, quindi, pur stando nel mezzo, dichiaro di essere più spostato verso la seconda scuola di pensiero. Perché? Per una serie di ragioni e anche perché è arrivato il momento di finirla con il pessimismo, per vincere bisogna crederci, anche se questo ci espone al rischio di tradire una giustissima scaramanzia. E chi se ne importa se a maggio ci rimarremo ancora più male: la vita è piena di disillusioni, ma intanto godiamoci questo sogno.
Provo a spiegare questa posizione, cominciando dalle motivazioni razionali, per poi soffermarmi su quelle “motivazionali”.
La rosa è obiettivamente più forte dell’anno prima
Il mercato fa registrare nomi che non scaldano (Ounas, Rui e Inglese), ma ci sono almeno cinque ragioni per cui il Napoli è più forte di quello della stagione precedente.
1. Il terzo anno di Sarri. Due anni fa, parlando dell’Empoli, Sarri disse che il Napoli ci avrebbe messo tre anni a raggiungere gli automatismi di quella squadra. Era una provocazione, per dire che i partenopei erano ancora in rodaggio e che ci sarebbe voluto un po’ prima di arrivare a una fluidità di gioco tale da potersi considerare “grandi”, compiuti. Quel periodo è passato, in mezzo ci stanno un secondo posto che non è stato di più per un tiro deviato all’88° e un terzo posto che non è stato di più per un gol rocambolesco al 92°. Ora il nostro gioco è ancora più veloce, ancora più automatizzato, ancora più dirompente. Basta rivedere le ultime partite per averne conferma.
2. I “vecchi-nuovi” acquisti. L’anno scorso il Napoli ha giocato tutta la stagione senza poter contare su Milik, Rog e Maksimovic; Mertens ha scoperto la sua vocazione di bomber solo a novembre/dicembre. Si tratta di pedine importanti, che possono cambiare una partita, far rifiatare i titolari, modificare le caratteristiche di attacco e aggiungere centimetri in difesa. L’anno scorso dovevano capire i metodi di Sarri, ora li hanno ben chiari e tutti hanno fatto il ritiro estivo con il tecnico nato a Bagnoli.
3. Gli anni in più e l’esperienza. Gli anni in più di Mertens, Hamsik, Albiol e Callejon non sono ancora tanti e tali da far immaginare un calo di rendimento: si tratta di giocatori nel pieno della maturazione, che hanno ormai una buona esperienza internazionale e un’ottima esperienza della serie A, di cui conoscono insidie, trappole e trabocchetti. Viceversa, gli anni in più di Diawara, Koulibaly, Rog, Zielinsky e anche Insigne sono molto importanti: si tratta di giocatori con grandi potenzialità, che in questi ultimi anni sono cresciuti in modo esponenziale, con miglioramenti incredibili, anche grazie a Sarri. Dopo uno o più anni ad alti livelli non possono che migliorare il loro contributo: c’è un trend, visibile, che sembra potersi confermare anche quest’anno. Reina, di contro, si avvia al termine della carriera, ma l’assenza di rinnovo gli impone poche distrazioni per poter spuntare l’ultimo contratto utile e questo ne può migliorare le prestazioni. Inoltre rimangono le sue doti da leader.
4. Le avversarie non sono irraggiungibili. Va riconosciuto: Matuidi, Costa, Bernardeschi e Howedes sono dei signori acquisti, ma la Juve non è così forte come sembra. La partenza di Bonucci pesa, in attacco l’abbondanza può creare problemi, gli strascichi di Cardiff si faranno sentire, così come l’ossessione di far bene in CL e Buffon, Chiellini e Barzagli cominciano a essere un po’ avanti con l’età. La Roma ha rivoluzionato tanto e ha ancora alcuni ruoli scoperti, oltre a un tecnico giovane e qualche giocatore fuori ruolo. L’Inter è temibile, ma ha una rosa inferiore al Napoli e così il Milan che, con la sua campagna acquisti roboante, si presenta con una rosa in cui solo Bonucci e Donnarumma sarebbero titolari anche nel Napoli.
5. La consapevolezza. Affrontare una partita piena di tensioni e di insidie come il preliminare contro il Nizza era una prova da “grade”: il Napoli l’ha affrontata in scioltezza, annichilendo gli avversari e chiudendo con due vittorie strameritate. Al contempo, lo 0-1 contro le bestie nere Atalanta-Gasperini avrebbero buttato a terra chiunque. Invece il Napoli si è rialzato e ha ribaltato una partita che sembrava segnata, andando a vincere largo. Da vera grande. Sarri e i suoi ci credono, sono consapevoli, hanno fame e sono concentrati sull’obiettivo. L’anno scorso, di questi tempi, dovevamo ancora metabolizzare l’addio di Higuain.
E veniamo quindi alle ragioni motivazionali per cui credere al titolo.
Bisogna crederci
È vero la Juve è più forte. E anche la Roma, a guardare la rosa, è almeno dello stesso livello del Napoli. Però non sempre la squadra più forte vince lo scudetto. Non sempre tutto va bene a loro e male a te. Certo non sarà una passeggiata. Certo non si può definire il Napoli “favorito” (questa sì è una bestemmia), ma dire che non abbiamo chances è una follia. Dovremo sperare in un’alluvione come quella di Perugia nel 2000 o che il tiro deviato all’88° quest’anno sia scoccato da Milik, subentrato a Mertens nella ripresa e non al Zaza di turno, ma non per questo il sogno scudetto è impossibile.
E dobbiamo crederci, proprio perché da quella consapevolezza, da quella forza d’animo, dipendono anche le prestazioni in campo della squadra.
P.s.: a oggi l’acquisto di Inglese rimane incomprensibile e fa apparire il Napoli come una società di dilettanti improvvisatori. È un punto a sfavore, ma non pensiamoci: facciamo finta che non sia successo, tanto per ora è un giocatore del Chievo.