Perché Mediaset continua a infamare Napoli con i suoi servizi?
Egregio giornalista d'inchiesta del quale ignoro il nome e non ho nemmeno la voglia e il tempo di stare a capire quale sia, Lei, che lavora in Mediaset e che tanto si è dedicato ad analizzare il mondo ultrà partenopeo, mi ascolti.
Nel suo rispettabilissimo servizio, classificato come inchiesta dalla sua rispettabilissima redazione, viene inquadrato svariate volte il nome Mastiffs - che lei chiama in qualsiasi modo, le manca solo "Muffins" - e viene associato ripetutamente a concetti quali violenza e criminalità organizzata. Altrettante volte, inoltre, viene inquadrato lei stesso vestito di tutto punto, pulito e fresco, che passeggia serenamente per tutte le zone della città che nel contempo descrive come pericolose, oscure, vigliacche e feroci. Durante il servizio definisce l'origine del gruppo ultrà di cui sopra (e anche altri) come variopinta: dal Vomero alla Sanità, dalla borghesia al proletariato, dallo sfarzo alla semplicità. E ne fa un miscuglio unico, senza distinzione: come se tutta la città fosse impestata d'odio, camorra, violenza. Come se si dovesse aver paura ad ogni angolo, vicolo, piazzale. E continua a farlo passeggiando serenamente, sotto il sole. Infine, lei chiude il suo pezzo - inchiesta parlando di piazza Bellini, dipingendola come il luogo in cui tutta questa violenza si riunisce al calare delle tenebre, il luogo in cui tutta la malavita si concentra per sfogare le propria frustrazione e la propria inciviltà, urlando e intonando cori contro tutto e tutti. Orbene, avrei una domanda, un dubbio e una precisazione da fare.
La domanda. Mi chiedo come il comune di Napoli o la SSC Napoli o chi per essi le abbia concesso il permesso di entrare al San Paolo per produrre un servizio indecente come il suo.
Il dubbio. Ho sempre creduto che il giornalismo d'inchiesta, come viene definito il suo pezzo dalla redazione per cui lavora, presupponesse una certa componente di rischio e pericolo per il giornalista stesso. Ho sempre immaginato che quel sano giornalismo investigativo e d'assalto fosse realizzato da professionisti che si intrufolano in ambienti malavitosi, con telecamere nascoste per avere informazioni altrimenti impossibili da raccogliere; oppure in ambienti da guerriglia, in cui occorre guardarsi le spalle se non ci si vuole trovare con una pallottola in testa. Non avrei mai pensato che il giornalismo d'inchiesta si risolvesse in passeggiate sotto il sole, lungo strade deserte e vestiti di tutto punto, descrivendo una malavita che non viene nemmeno minimamente colta dalle telecamere. Ma, in fondo, io sono solo un cantautore che per pagare le bollette fa altro, non un giornalista rispettabile e credibile come lei, con visibilità nazionale.
Quindi posso senz'altro sbagliarmi.
P.S.: il capolavoro in questione è visibile qui
Infine, la precisazione. Mentre lei descrive la terribile piazza Bellini, da dietro il vetro della sua auto, parla di cori, di sciarpe, di confusione, di telecamere non gradite. Tutte cose che, ancora una volta, non vengono minimamente colte dagli obiettivi che l'assistono nella sua rischiosissima inchiesta. Io ci sono stato in piazza Bellini sa? Ci sono stato da turista, senza amici locali. Ci sono stato la notte, quando tutto, come lei insegna, diventa terribile. Ci sono stato da lombardo, con il mio viso pallido e una parlata fredda e stretta. Ho trovato diversi bar, ho bevuto e mi sono divertito. Intorno a me c'erano ragazzi ai quali non ho badato molto, che bevevano come me. E ridevano. E chiacchieravano. E poi sì, c'era quel murales, quello con la scritta "Muffins"; lei l'ha visto vero? Tutto sommato, piazza Bellini in Napoli è tale e quale a via della Moscova in Milano, zona che lei conoscerà senz'altro: bar, gente di diversa natura, chiasso, risate e serate.
In buona sostanza, quello che sto tentando di dirle è che in piazza Bellini non è vero che non gradiscono le telecamere: semplicemente, in piazza Bellini non gradiscono gli stronzi come lei.