Al di là di una difficile 'difesa'

La sconfitta di Palermo è da stigmatizzare più per la mancanza di propositività che per gli errori strutturali del pacchetto arretrato
  • Di Antonio Moschella

    È arduo trovare delle note positive dopo la serataccia di Palermo. Il Carnevale ha preso alla sprovvista il Napoli, con un Rafael travestito da spaventapasseri e al quale non basterebbe neanche un pellegrinaggio in ginocchio a Pompei per cambiare l’inerzia negativa che si trascina dietro da Bilbao. Il rigore parato a Padoin rischia di essere una patina che giustificherebbe troppo a lungo i suoi errori. Tuttavia, ammesso e non concesso che il problema sia lui, se Andujar a 31 anni è un panchinaro e non ha difeso porte particolarmente prestigiose ci sarà anche un motivo. Il problema difesa è comunque endemico: lo era l’anno scorso con Reina tra i pali e torna ad esserlo quest’anno. Il Napoli è una squadra che deve fare un gol in più dell’avversario. Punto.

    Il vero peccato del Napoli del Barbera è, quindi, da ricercare nella leziosità di coloro che erano chiamati a creare gioco dalla mediana in su. Per questo motivo era stato inserito Jorginho, in teoria regista dal piede fino ma ormai un pesce fuor d’acqua, visto anche il suo nervosismo che lo spinge a ricevere un’ammonizione alla quale ormai sembra essere abbonato neanche fosse Rambo Policano. De Guzman defilato a sinistra poco ha provato a fare e poco assecondato da uno Strinic che ricordava più Tarantino, mentre Callejón non ha approfittato dell’occasione di giocare contro una difesa a 3 e sembra non trovare più l’uscita dal tunnel. Hamsik ha difettato nuovamente di carattere e cattiveria e Higuain, tra mancanza di palle giocabili e poche associazioni da parte dello slovacco e di Callejon, ha vagato senza meta per tutto l’incontro.

    Insomma, la luce si è spenta. E non è un caso che gli azzurri si siano ripresi solamente a giochi ormai fatti e con in campo Zapata e Gabbiadini, due che attaccano direttamente la porta. In sostanza al Napoli è mancato il gioco, e il paradosso è che si è notata terribilmente l’assenza di Gargano, uno più incline a portare l’acqua che a tessere trame propositive. La scusa del turnover non regge, perché nonostante Britos continui a fare danni i primi due gol non sono colpa sua, e una squadra come il Napoli non può dipendere da Gargano in quanto a qualità di gioco, anche se l’uruguayano è l’unico che possiede il carisma adatto a guidare la squadra.

    L’undici di Benitez si è quindi inceppato, palesando nuovamente i limiti mostrati contro le squadre che bloccano le fasce e che giocano tra le linee, con Vazquez e Dybala e fare il bello e il cattivo tempo in contropiede. Il possesso palla, se non concretizzato, serve solo per le statistiche. Ma alla fine bisogna metterla dentro e ieri il Napoli è rimasto a secco per la quarta volta in tutto l’anno, emanando un’alone di impotenza pari a quello di Milano o di Udine.

    I limiti sono sempre gli stessi. Ma quando si accompagnano ad un appannamento generale del meccanismo del collettivo che si blocca nei movimenti più collaudati e congeniali, il campanello d’allarme suona più forte. Che la brutta scoppola servi da sveglia. La strada per il terzo posto è ancora lunga, anche se abbiamo il vantaggio di dipendere da noi stessi. Il resto, se arriva, sarà un regalo.

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