Felipe Anderson: da brutto anatroccolo a "spaccapartite"
di Giordano Proietti
Un misto tra sfortuna, poca personalità e voglia di strafare. Così fino a 3 mesi fa si poteva riassumere l'esperienza di Felipe Anderson alla Lazio.
Ora l'anatroccolo è diventato cigno o come dicono a Roma: s'è svejato.
Una sorpresa solo per chi non conosceva le doti di questo ragazzo che appena maggiorenne s'è vista assegnata la maglia di Pelè al Santos e che non ha sfigurato neppure al cospetto di Neymar, amico e compagno di squadra.
Il 2012 è l'anno dell'esplosione. In Europa lo seguono Milan, Inter e Arsenal. A gennaio del 2013 su di lui piomba il diesse laziale Tare. L'affare sfuma in extremis ma il dirigente albanese punta ad occhi chiusi su quel ventenne che abbina tecnica da brasiliano a una velocità rara anche in Europa. Così in estate vola in Brasile e dopo una settimana di trattative riesce ad acquistarlo per meno di 8 milioni. Uno sproposito per tanti fino a sessanta giorni fa, un affare per tutti oggi.
Felipe ha cambiato la Lazio da quando è entrato in pianta stabile tra i titolari. Il 7 dicembre in programma c'è Parma-Lazio con i biancocelesti reduci dal pareggio con il Chievo e dalle sconfitte con Empoli e Juventus. Candreva è infortunato, Pioli lo schiera titolare.
Un gol e la palma di migliore in campo al Tardini segnano la svolta per FA7, come lo chiamano ora, anche per esorcizzare quella estrema timidezza che lo ha frenato troppo a lungo. Nelle quattro partite seguenti arrivano solo conferme: 4 gol e 5 assist.
Soprattutto Felipe ha liberato la Lazio dal difetto sul quale si stava avvitando. La squadra di Pioli era diventata troppo prevedibile nel gioco offensivo, pericolosa solo con le incursioni di Candreva o le ripartenze nate dal pressing asfissiante voluto dal tecnico emiliano.
Tiro dalla distanza, percussioni centrali o laterali, assist e passaggi filtranti, Felipe Anderson ha un repertorio molto più vario anche dei suoi compagni più forti come Candreva, Mauri, Djordjevic o Keita.
Prima il riconoscimento del talento poi la crisi d'identità, infine la rinascita. In soli due anni la storia di Felipe ha già tutti gli elementi di uno di quei film americani che raccontano epopee sportive. Nessun dubbio sulla scena madre: Felipe in lacrime, seduto in panchina, dopo aver sbagliato un rigore decisivo in coppa Uefa contro il Ludogorets.
L'abbraccio e la dedica del gol al Torino in Coppa Italia dell'amico rivale Keita sarebbe, invece, il finale ideale se non ci fosse, come in ogni sceneggiatura del genere, il colpo di scena che questa volta ha anche note drammatiche: l'arresto del papà di Felipe per un duplice omicidio in Brasile e contestualmente un infortunio che lo ha tenuto lontano dal campo per oltre un mese.
Il secondo tempo del film è iniziato domenica: gran gol e assist. Buona trama, forse un po' ripetitiva: gol e assist, gol e assist...