di Francesco Pacifico
Nell’avveniristica sede di Santa Giulia, a Sky, quando si fa il nome di Aurelio De Laurentiis, tutti pensano “a quella poveretta dell’ufficio acquisti diritti cinematografici”. La signora – modi spiccioli, ligia agli interessi dell’azienda – è l’interfaccia di Murdoch con i produttori italiani. E in questa veste ha avuto l’ingrato compito di “fare il prezzo” sui cinepanettoni del patron della Filmauro.
Si racconta che nell’immenso ufficio con vista Quirinale di De Laurentiis a Palazzo Mengarini (dove c’è anche la residenza romana degli Agnelli) la signora, quando era il momento buono di firmare dopo estenuanti trattative, veniva ogni volta interrotta. Con il produttore che - perfetto gagà - biascicava: “Lui’, te la posso dire una cosuccia: escitene la sera! E fattela ogni tanto una bella trombata…». Ma si racconta anche che DeLa, quando chiedeva dieci per Vacanze di Natale o per Natale sul Nilo, si sentisse offrire dalla signora con un misero uno. Ed era costretto ad accettare.
È da qui che bisogna partire per capire l’odio di Aurelio De Laurentiis verso Sky. Perché, dopo aver sentito Massimo Mauro definire “disonesta” l’analisi di Rafa Benitez su Torino-Napoli, ha deciso di impedire ai tesserati del Napoli di apparire davanti alle telecamere della pay tv.
De Laurentiis, forse con qualche ragione, si sente diverso dagli altri suoi colleghi. All’interno dell’Anica si vanta di essere l’unico produttore degno dell’eredità dei Ponti, dei Cristaldi e dello zio Dino: investe sui film soldi propri, senza aspettare l’anticipo delle banche o le sovvenzioni del ministero dei Beni Culturali o delle tante Filmcommission regionali. In quest’ottica vedrebbe in Sky un usurpatore straniero, che vuole approfittare del genio italico e dei suoi capolavori, che quando va male (come negli ultimi anni) rastrellano al botteghino tra i quattro e cinque miliardi di euro.
Vera o falsa che sia l’analisi del patron del calcio Napoli, è un fatto che su Sky i cinepanettoni sono trasmessi molto tempo dopo il loro lancio nelle sale, nonostante la forza del genere stia soprattutto nei riferimenti all’attualità. E con un numero di passaggi inferiori alla media di una tv che ha un magazzino film sempre più sguarnito. Ma la sorte ha voluto che il produttore cinematografico Aurelio De Laurentiis e il produttore televisivo (è anche questo) Rupert Murdoch s’incrociassero anche su un altro fronte: quello calcistico.
Nel Paese dove la gente non va più allo stadio e le magliettine dei campioni sono taroccate, il Pallone regge soltanto grazie ai diritti pagati dalle paytv: alla serie A Sky garantisce all’anno 572 milioni, Mediaset premium 373 milioni. Soprattutto la tv di Murdoch – con una tecnologia insuperabile - ha il monopolio delle immagini più sensazionali e quello dei commenti. Così, se proprio si deve fare un parallelo tra la poveretta dirigente dell’ufficio acquisti diritti cinematografici sopracitata e Massimo Mauro, allora è facile vedere in De Laurentiis la delusione, quando l’ex ala destra di Juve e Napoli dice a Ilaria D’Amico che «il progetto degli azzurri è vicino al fallimento», perché lo scudetto resta una chimera. Ed è ancora più facile immaginarsi DeLa, in panciolle e con un bel cardine a doppio petto davanti alla tv, che sbotta: «Ma cosa dice questo qui, io sono l’unico in serie A ad avere i conti apposto».
È vero il Napoli, fallito dieci anni fa, guida la classifica delle squadre più virtuose: al 30 giugno 2014, ultimo bilancio disponibile, ha registrato un utile di 20,2 milioni, 12,2 milioni in più rispetto all’esercizio precedente, grazie alla cessione di Cavani e la qualificazione in Champions. Ma il 67 per cento degli introiti, negli ultimi tre anni, è legato proprio a quanto ha versato Sky (in soldoni 171 milioni).
Ma questa non è soltanto una storiaccia di onore ferito e dileggiato. C’entrano i soldi. Come avviene ogni qualvolta si ha a che fare con due squali come De Laurentiis e Murdoch. In estrema sintesi Sky vuole risparmiare sui diritti tv. E potrebbe farlo se, come si ipotizza, o salta una tra lei e Mediaset premium oppure le due realtà si fondono. DeLa invece vede sottovalutato il quantum destinato alle prestazioni del Napoli: non accetta la valutazione degli advisor della Lega secondo il quale gli azzurri posseggono solo il quarto bacino d’ascolto (e di tifosi) in Italia; vede nel meccanismo per la ripartizione dei diritti non un metodo perequativo, ma soltanto un sistema per livellare al ribasso il sistema calcio.
All’insegna del mutualismo la legge Melandri prevede che il 40 per cento dei diritti del calcio sia ripartito ugualmente tra tutte le squadre di A. Soltanto un quarto è legato ai bacini d’utenza, il cinque per cento alla popolazione del comune di appartenenza e un altro cinque va in base ai risultati sportivi. Il produttore invece guarda alla Nba: vuole una lega professionistica chiusa senza retrocessioni perché – fosse per lui – preferirebbe che nella massima serie ci fossero sempre undici riempi curve come il Bari, il Catania o la Reggina e non l’Empoli, il Sassuolo o il Cesena.
I motivi non sono certamente campanilistici. Da qui, il passo è stato breve per l’ultimo affronto: il patron del Napoli non ha gradito la lettera con la quale Sky ha di fatto intimato ai presidenti di sobbarcarsi gli oneri per permettere al Parma di concludere il campionato. DeLa, invece, voleva usare il caso degli emiliani per dimostrare che va superato questo modello di Lega. E che è ora di per creare un campionato di realtà più manageriali. Perché con più campioni e più spettacolo, si possono strappare più soldi alle televisioni.
tratto da "Il Garantista"