Abbiamo ancora gli occhi aperti sul cielo azzurro: cara Nazionale, di’ al mondo che il pallone per noi è felicità
di Errico Novi
Siamo diventati un Paese sorridente grazie a quei ragazzi. Loro lo sanno. E lo sanno proprio tutti: tanto è vero che se ci fate caso quei ragazzi, i ragazzi dell’82, fanno ancora tutti qualcosa nel calcio, tutti o quasi. Cabrini per esempio non è mai stato uno spigliatissimo, anche se passava per il Bell’Anonio. Eppure la Rai, doverosamente, se lo tiene ancora come commentatore radiofonico. E così Tardelli, e Rossi che sta spesso su Sky, e Conti che fa il dirigente, e Zoff che in fondo è stato un monumento anche come allenatore. Tutti sono ancora nelle nostre vite, hanno ancora un piccolo spazio nella nostra passione. Uno di loro, sono sicuro, li guarda tutti dall’alto: sapete benissimo chi è, si chiama Gaetano Scirea, e se n’è andato in un incidente stradale mentre faceva il suo lavoro, ancora un lavoro per il calcio: era l’allenatore in seconda della Juventus e andava a visionare gli avversari. E ancora, tutti quei ragazzi hanno accompagnato il loro Papà Enzo, il vecio Bearzot, hanno portato il feretro sulle spalle quando il grande Enzo ci ha lasciati. E davanti la chiesa c’erano i fiori con su scritto: “I ragazzi dell’82”. Sanno di essere quei ragazzi. E che lo saranno per sempre, per tutti gli italiani che hanno gioito al suono della voce di Martellini. Con la loro meravigliosa, incredibile vittoria al Mundial di Spagna ’82 ci hanno portato alla luce. Hanno preso per mano gli italiani e li hanno accompagnati sotto un cielo azzurro, dacché fino a quelle notti senza tempo il cielo era quasi sempre plumbeo, così per anni, per tutti gli anni Settanta. Anni di piombo è un’espressione geniale perché parla proprio del cielo, di quel cielo che non assomigliava mai a una giornata di sole passata sotto l’azzurro e magari su un prato verde a correre.
I Mondiali sono questo: per noi italiani almeno, sono questo. Sono la felicità che ci affaccia su una vita nuova. Sono l’urlo di Tardelli che personifica in quegli istanti tutti, ma praticamente tutti gli italiani. Sono le bandiere nelle piazze, le donne nude sui carri a Forcella, la gente che va e festeggia, e mette via in un attimo anni di sparatorie per strada. È la felicità a cui avevamo diritto e che arriva tutta insieme.
I Mondiali di calcio sono questo e questo ci aspettiamo da loro. E adesso ce lo aspettiamo di più. E anche di questo sapete bene il perché. Perché amiamo il calcio e ce lo vogliamo riprendere. Perché siamo ancora su una branda d’ospedale, come se stessimo tutti con Ciro. Perché da quella sera di dieci giorni fa ci hanno detto che siamo brutti. Brutti non solo come napoletani, ma proprio come tifosi di calcio. Perché, ci hanno detto, il calcio è Genny, il calcio è De Santis, il calcio è merda, è una partita giocata sotto lo sguardo schifato del mondo, sono gli ultras padroni del pallone. E invece no. Il calcio sono i ragazzi di Bearzot che si riprendono dalla mezza ignominia del Camerun, e come un pugile appena rialzatosi a fatica lottano con le unghie e con i denti e vincono 2-1 con l’Argentina, e poi di fronte ai maestri del Brasile di Zico e Socrates fanno una cosa che non dimenticheremo più, insistono tre volte per vincere finché vincono sul serio, e poi battono la Polonia in semifinale come se fossimo i principi delle favole, e poi la Germania al Bernabeu perché dietro il loro trionfo c’è un Paese intero. Ecco, signori: per noi il calcio è questo. Noi tifosi che allo stadio ci andiamo ancora, e che ancora ci vogliamo andare nonostante quegli spari. Il calcio per noi è il Mundial dell’82. E adesso, anche se girano un sacco di soldi, e Blatter comanda una cricca che si arricchisce famelica sulla nostra passione, e Cristiano Ronaldo e Bale sono divetti insopportabili, vogliamo il nostro Mondiale, che non ce lo potete togliere.
E lo vogliamo anche perché c’è uno di noi, piccolo ma tenace, che forse sarà nei 23 e forse sarà pure titolare, perché Prandelli un altro Insigne non ce l’ha. E vogliamo sognare, vogliamo vederlo correre e fare cose che neanche lui si immagina, e fare finta che sia il nuovo Paolo Rossi.
E vogliamo il Mondiale perché nel nostro piccolo siamo come quell’Italia dell’82, piena di paure, carica del brutto che ha avvelenato l’aria, e però con gli occhi aperti che implorano un po’ di felicità. Quei ragazzi devono restituirci una cosa che ci hanno tolto, e che è la felicità del calcio. E perciò siamo con loro, con Lorenzo e con tutti loro, perché siamo sicuri di essere dalla stessa parte, e che quei ragazzi diranno al mondo che siamo belli, e che abbiamo ancora gli occhi aperti sul cielo azzurro.