Napoli e Borussia, due tifoserie proletarie: vi racconto quell'applauso della curva A ai dortmunder

Non è solo una storia di diplomazia ultras, ma di due città avvicinate dallo stesso sfondo di sofferenza sociale
  • Foto: ilsusssidiario.net

    di Errico Novi

    Sono passati tanti anni. La curva è stata parte della mia vita. Non nel senso inteso da tanti ragazzi che si autodefiniscono ultras, ma perché dalla curva, la curva B, mi sono goduto un’epopea che ha segnato la mia vita per sempre: quella di Diego e degli scudetti. Da allora in pratica non c’ero più tornato. L’ho fatto per Napoli-Borussia, stavolta nella “A”. Ed è stato come mettersi in mezzo all’esplosione di una bomba.

    Chi c’è stato, sa. Una bolgia. Un uragano che ha sospinto la squadra. E che ancor di più ha atterrito i tedeschi. Non saprei dire se venticinque anni fa eravamo più forti o no, come tifo. È bello vedere che, dei ragazzi di allora, ne sono rimasti ancora alcuni, ormai ben più che quarantenni, ad accompagnare le “nuove leve”. Soprattutto tra i Vecchi Lions, eredi di una sigla che ha fatto epoca, i Blue Lions di Tony Faiella e Tony Morra. Ecco, io ho cantato, ho provato una gioia indescrivibile, ho perso un bel po’ di voce. Ho visto la meravigliosa coreografia della curva di fronte, con il prato verde e il dodicesimo uomo in campo vestito d’azzurro. Ho visto soprattutto una curva A compatta applaudire i tifosi di Dortmund prima e dopo la partita. Non è un gemellaggio, quelli sono un’altra cosa, richiedono frequentazioni assidue e contatti personali che durano nel tempo. Ma forse quegli applausi, e quei cori cantati in tedesco dai dortmunder per ringraziarci – di cui ovviamente non s’è capita una parola – sono ancora più veri proprio perché dietro non c’è una storia di incontri e di pacche sulle spalle. Solo un istintivo rispetto, un riconoscersi a pelle.

    È vero, molto è dipeso dalla correttezza, dallo stile con cui uno dei gruppi ultrà gialloneri lo scorso 6 settembre ha esortato con un volantino tutti i tifosi del Borussia in partenza per Napoli a vivere una giornata all’insegna «di sport e mentalità». A non provocare, e a rispettare anzi i supporters partenopei in nome innanzitutto dell’amicizia in comune che azzurri e dortmunder hanno con gli Irriducibili Catania.

    Di certo anche la mediazione diplomatica, diciamo così, di questi ultimi, ha favorito l’avvicinarsi di due tifoserie che non si erano mai incontrate. Fino al proposito maturato tra i responsabili della curva A, poi non messo in pratica, di diffondere un comunicato stampa con cui dissociarsi preventivamente da eventuali aggressioni a danno dei tedeschi (ve ne abbiamo parlato in un articolo di martedì scorso). Ma non basta, non è solo una storia di “raccomandazioni” tra capi ultras. C’è qualcosa di vero, di sostanziale in quei cori potenti con cui i 1500 tedeschi (non erano più di 1500, fidatevi) si sono fatti sentire ieri sera: non c’era provocazione, appunto, non la spocchia infantile di chi sa che tanto il servizio d’ordine eviterà qualunque rabbiosa risposta post-gara da parte della curva avversaria. Quello che hanno fatto vedere gli ultrà di Dortmund è tifo vero, caldo, sanguigno come il nostro. E in quei cori scanditi, in quei fumogeni e persino nelle “bombone” fatte esplodere all’ingresso delle squadre c’è una vicinanza persino proletaria con le nostre curve. Non a caso sul Corriere della Sera di ieri, nell’edizione nazionale, c’era un pezzo che raccontava di Dortmund come la città sfortunata, la città dei disoccupati e della sofferenza sociale, messa a confronto con la ricca e potente Monaco di Baviera. La nostra storia e quella del Nord Italia, uguale.

    Ecco, allora. Curva A e dortmunder si sono riconosciuti a pelle. E si sono applauditi, con un trasporto che da parte napoletana avevo visto solo per i genoani, negli ultimi anni. Bello esserci stati, bello aver chiuso così una delle notti più magiche della nostra storia. È come se quella maturazione improvvisa, quella consapevolezza di essere forti che Benitez in tre mesi ha trasmesso ai giocatori, si fosse allargata anche sugli spalti. Dove, tante sofferenze e tanti chilometri dopo, torniamo a respirare quell’aria inebriante di venticinque anni fa.

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