La Coppa Italia non è la FA Cup, ma proviamo a vincerla lo stesso…
di Francesco Bruno
Finalmente anche la Coppa Italia entra nel vivo. Con l’entrata in scena degli azzurri vicecampioni d’Italia tutte le big saranno scese in campo in quello che, per la sua formula, può essere considerato il torneo con meno appeal tra le competizioni simili delle altre federazioni europee. Da quando ne è stata riformulata l’organizzazione partecipano alla coppa nazionale tutte le squadre di serie A e le ventidue di serie B, a cui si aggiungono ventisette società selezionate dalla Lega Pro e nove provenienti dalla Lega Nazionale Dilettanti. L’idea che è stata alla base della riforma, cioè allargare la partecipazione a formazioni che disputano anche i campionati di terza e quarta divisione, sarebbe in linea di principio interessante. Solo che le grandi giocano un numero ridottissimo di partite, al massimo cinque, poiché d’estate sono impegnate nelle varie amichevoli precampionato dal grande richiamo televisivo e commerciale. Non succede nelle altre coppe nazionali d’Europa e, per questo, la nostra Coppa Italia inizia a suscitare l’interesse di società e tifosi in primavera, quando cioè diventa l’ultimo obiettivo raggiungibile per raddrizzare una stagione.
In Spagna, nel torneo più paragonabile a quello italiano, le grandi giocano dal quarto turno, i sedicesimi di finale, e per arrivare alla finale devono scendere in campo otto volte. In Germania partecipano squadre di terza serie e le società vincitrici delle coppe regionali. In Inghilterra partecipano 737 squadre inglesi e gallesi, e le big sono scese in campo già il 16 agosto nel turno preliminare: la FA Cup, essendo la competizione ad eliminazione diretta più antica al mondo, è considerata addirittura più importante del campionato. Senza soffermarsi su altre decisioni singolari del nostrano mondo del pallone (ad esempio, la lunga sosta invernale, con le sue conseguenze sull’aspetto fisico e psicologico di calciatori che non giocano partite ufficiali per due settimane), anche in questo caso le vicende dell’italica pedata appaiono in controtendenza, per usare un eufemismo, rispetto a quanto accade in Europa. E poi ci si lamenta se, tranne casi sporadici come Higuain o Tevez, gli assi del pallone snobbano la nostra serie A, più povera di introiti e guadagni, cercando di emigrare appena si presenti l’occasione in campionati europei più intriganti.
Comunque sia, questo passa il convento e questo noi tifosi ci teniamo. Per noi la Coppa Italia conta, e conta pure molto. Perché se è vero che quello azzurro è un progetto di medio-lungo termine che mira a piazzare il Napoli tra le grandi d’Europa in modo stabile, adesso, come cantano le curve del San Paolo, è ora di vincere. «Sono d’accordo con Gonzalo quando dice che siamo squadra nuova, ma se possiamo vincere qualcosa quest’anno è meglio. Altrimenti continueremo a lavorare per costruire qualcosa d’importante per il futuro», ha detto Benitez nei giorni scorsi. Dal suo ritorno in Serie A nel 2007 il Napoli di De Laurentiis ha collezionato un secondo e un terzo posto, una coppa Italia e gli ottavi di Champions League. Risultati eccellenti, in linea con la storia del club partenopeo. Dal 2014 può iniziare però un nuovo ciclo, da paragonare ai sette indimenticabili anni d'oro dell'era di Re Diego. Del resto la storia personale di Don Rafe’ parla chiaro: al suo primo anno a Valencia, Liverpool, Milano e Londra ha sempre vinto un trofeo nazionale o internazionale. Nel 2014 si può dunque davvero provare a sognare in grande.