Napoli (società e ambiente), tutto in gioco in un mese
di Francesco Bruno
Finita finalmente la sosta per le nazionali, si riparte. Sono state, come al solito, due settimane di aria fritta incentrate soprattutto sulle chiacchiere di calciomercato. Argomento di discussione principale la trattativa per acquistare dal Genoa Pavoletti, che si sarebbe mostrato restio a trasferirsi a Napoli. Se anche un onesto attaccante quasi trentenne si dimostra perplesso nel passare dal Genoa ad un club che gioca la Champions, aumentando il suo ingaggio da uno a due milioni all’anno, qualche domanda dobbiamo farcela.
Qualcosa non va nel Napoli e nel suo fascino calante. Magari Pavoletti cambierà idea fino a gennaio, ma i suoi dubbi costituiscono un punto di non ritorno su cui riflettere. Sarà pur vero che è rimasto turbato dalla sua precedente esperienza a Castellamare di Stabia, ma la verità probabilmente è un’altra. Da semplice tifoso ho l’impressione che in questo momento il progetto del club azzurro non venga percepito all’esterno come chiaro e delineato. La cessione di Higuain prima, poi Sarri - De Laurentiis, le polemiche su Gabbiadini e Reina, la tensione strisciante fa apparire il Napoli come una società agitata e un approdo insicuro.
E’ un fatto che la dialettica tra il presidente e l’allenatore, al di là delle dichiarazioni di circostanza, lasci trasparire nervosismo da settembre. De Laurentiis sollecita cambi di formazione e novità tattiche, Sarri insiste sul 4-3-3 pur di non minare certezze e meccanismi assimilati dal gruppo. Gabbiadini, travolto dalla girandola di sostituzioni seguite a dichiarazioni di fiducia di facciata, ormai non ci sta capendo piu’ niente. Servono, probabilmente, un po’ di fortuna e convinzione che consentano al Napoli di segnare di piu’ e non prendere sempre gol al primo tiro. Un po’ quello che succede alla Juve, che resta sempre a galla anche a danno del bel gioco. Ma rispetto ai bianconeri manca soprattutto un ambiente maturo e compatto, capace di supportare i propri beniamini sempre e comunque. Certo è abissale la differenza tra il pubblico napoletano, esigente e viscerale, che vive di calcio sette giorni su sette e quello juventino, vincitore da sempre, che non vive la città né la difende perché spesso in quella città ci va soltanto da spettatore la domenica allo Stadium. Il caso Reina è emblematico. Da eroe a giocatore prossimo alla pensione, da grande portiere a portinaio di un albergo ad ore. Il giudizio sul nostro portierone segue un andamento schizofrenico, come accade del resto nella nostra città non soltanto per le vicende calcistiche. Vi risulta che, dopo la sua respinta sul tiro di Messi che finì sui piedi di Suarez lesto a segnare e far partire la rimonta del Barcellona nella finale di Champions 2015, qualcuno a Torino si è sognato di puntare il dito contro Buffon? E quando in Nazionale Gigi incappa periodicamente in qualche papera di troppo, passa mai per la mente di qualche juventino di ricordare l’inesorabilità del tempo che trascorre per tutti? Non mi sembra proprio, anzi piu’ passa il tempo e piu’ diventa – giustamente - un monumento nazionale.
E’ stato tanto criticato Benitez – sinceramente non da me, che ero e resto rafaelita -, ma una cosa buona ha provato ad insegnarcela, quello “spalla a spalla” che oggi come allora resta inascoltato. Nei prossimi trenta giorni, tra campionato e Champions, dobbiamo vivere una stagione diversa. Ripartiamo con un meno nove dalla Juve, ma la rincorsa, almeno al secondo posto, è ancora possibile. A patto di voler finalmente colmare quel gap che è proprio lì, in quelle tre paroline magiche.