Napoli e Benitez, fuori le palle. E già che ci siamo facciamo fuori pure i secondi
di Boris Sollazzo
Siamo diventati troppo poco provinciali. Come già accaduto alla Roma di Spalletti - ma senza aver ancora raggiunto quella compiutezza e pienezza di gioco - ci siamo irrimediabilmente innamorati di noi stessi. Da provinciali, timorosi e però concentratissimi - spesso, ma non sempre, facevamo belle stupidaggini anche gli anni scorsi - siamo diventati sì cosmopoliti e profondamente consapevoli della nostra forza, ma anche snob. Noi non mordiamo il freno fino all'ultimo minuto, troppo dozzinale. Non pressiamo alto, troppo proletario. No, noi cerchiamo il possesso palla e la giocata di fino (Callejòn e Mertens esclusi, ma loro sono supereroi), il che, avendo parecchi "pipponi" - credo vengano definiti così, tecnicamente, al supercorso di Coverciano -, risulta non di rado grottesco. Per questo ieri, per dire, ho amato Dzemaili, pur in una delle sue peggiori partite. Non era in forma, non era lucido, ma era l'unico che faceva falli agli avversari. Spesso necessari. Gli altri no, si sa che entrare duro non è elegante. Pensate a Britos, lui sì un signore: un collega della squadra ospite fa una rara sortita offensiva e lui, non si dica che è un cafone, gli fa strada. Quello triangola, lui lo guarda e lo accompagna alla porta. Perché i veri gentiluomini fanno così.
E Inler? Per non far sentire nessuno in difficoltà, sbaglia tutto e corre più lento di Andrade. Cosìcché nessuno possa trovarsi nell'imbarazzante posizione di peggiore in campo. Che peraltro è l'unica che lui sa tenere senza esitazioni.
Continuo a pensare che Benitez sia intoccabile, che abbiamo per le mani un progetto che ci ha portato comunque 44 punti in 21 partite e un direttore d'orchestra che ci farà sognare. Gli dobbiamo anni, fiducia e gratitudine per la sfida che ha accettato qui da noi. E credo anche che questi due pareggi potrebbero essere determinanti per un'ultima settimana di mercato più vivace di quello che Aurelio e Riccardo pensavano e volevano. Altrimenti diventeremo la squadra dei paradossi, un'opera demenziale degna dei cinepanettoni di De Laurentiis: un team che segna con il meno prolifico dei grandi difensori europei avendo ben cinque attaccanti in campo, una società che in cassa ha 39 milioni di euro ma non riesce a spenderli, pur volendolo fortissimo. A parole. Una volta perché non vuole Rafa, un'altra perché Aurelio ha deciso che oltre un certo tetto c'è solo il cielo; una volta perché si sta sperimentando il grado di sopportazione alla fatica di Raul Albiol, nonostante usare cavie umane sia illegale, un'altra perché non abbiamo stampato fronte-retro le pagine del contratto; una volta perché Posillipo non piace al neoacquisto, un'altra perché la zia della cugina di quel centrale di difesa franco-tibetano è stata lasciata in malo modo da un playboy napoletano. Perché noi, per carità, non compriamo ex giocatori come Essien, diamine, che almeno era sotto contratto con una squadra di livello. No, noi siamo coerenti: li compriamo per davvero che hanno smesso di giocare, tipo Reveillere. Che, poverino, se la sta pure cavando. A dimostrazione di quanto sono scarsi gli altri compagni di reparto.
Non sacrifichiamo Rafa sull'altare di errori altrui. Non lo contestiamo, non chiediamo la sua testa (poi per chi? Stramaccioni?). Rimane l'acquisto migliore degli ultimi anni. Magari Pecchia gli facesse giusto capire come si infonde la cazzimma alle nostre latitudini, che lui lo sa bene. Che magari vedendo la gentilezza di Riccardo Bigon, Don Rafé si pensa che a Napoli siam tutti gentili, pacati, quasi decorativi. Che poi quel ragazzo è ghiaccio bollente e nessuno l'ha capito. Se i muri potessero parlare, vi racconterebbero di un ds che porta giocatori a palate, e di un allenatore e di un presidente che glieli fan saltare di continuo. Di chi magari deve comprare al triplo uno che aveva proposto due anni prima a qualche spicciolo.
Un po' come quello in prima linea in guerra: gli sparano, spara, ma al massimo può sperare nella sopravvivenza. Sono gli ufficiali a prendersi tutti i meriti. Salvate il soldato Bigon.
Benitez è ostaggio di un'incompiutezza societaria ormai cronica. Che andrebbe anche bene: il nostro presidente non ha patrimoni importanti come quelli delle due squadre davanti e pure di quelli delle due dietro. La Filmauro e qualche immobile è tutto ciò che ha. Basterebbe dirlo: ha già fatto tanto, non c'è ragione per dargli alcuna colpa. Non è un mistero che in questi dieci anni nessuno abbia chiesto di comprare il Napoli. Ed è evidente che lui ha raggiunto risultati che noi avremmo sottoscritto con il sangue quand'è arrivato.
Ma lui vuole vincere, lo dice sempre: e allora se è così, non è questa la squadra per farlo. Se mi fai una promessa, devi mantenerla. Non basta Gonzalo Higuain: Diego Armando Maradona arrivò nel luglio del 1984 e ci portò lo scudetto nel 1987. Dio ci ha messo tre anni. Poi, per carità, c'è anche da dire che Rafa combatte con il passato: Britos e Inler sono figli del tecnico precedente, che si è fatto afferrare per matto per averli. Chissà perché non li chiede con la stessa veemenza, lì nella squadra in cui è andato. Trovo scortese che non si ricordi dei suoi pupilli. Ventotto milioni di euro buttati così son duri da digerire, non solo per il bilancio.
Ma queste sono giustificazioni. E la ragione, amico mio, è dei fessi. E allora Rafa, tocca a te. Perché sei il migliore lì in mezzo, perché se ti sei fatto carico di un lavoro del genere, le responsabilità devi (e vuoi) prendertele. Perché non sei venuto a Napoli per i monumenti e i musei, anche se non perdi occasione per visitarli, e di questo ti siamo profondamente grati: rispettare così tanto la nostra cultura, la nostra identità, la nostra città per me, almeno, vale una Champions League. Non sei venuto qui da conquistatore, né da ospite di lusso. No, ci sei venuto da napoletano.
Però, scusami la rudezza, non puoi permetterti di fallire: l'esperienza con Moratti pesa ancora sul tuo curriculum e la scortese defenestrazione di Abramovic dopo un eccellente lavoro ha annacquato ciò che hai fatto a Londra. Insomma, in questo mondo crudele che non capisce i veri geni, conta solo la percezione che si ha di te. E, lo sai meglio di me, t'ha rovinato la tua signorilità: hai fatto parlare i giornali, il tuo presidente, persino i tuoi calciatori di scudetto e successi. Dovevi far presente a tutti che eravamo da quarto o quinto posto. Io l'ho fatto a inizio stagione, per dire. Tu no. Io ora a chi si lamenta, posso dirlo: quest'estate ve l'ho detto, avevamo troppi volti nuovi e ancora troppi buchi. Tu no. Io le mie indicazioni le dò dal mio divano e in curva B. E nessuno le ascolta. Tu da una panchina, e sono determinanti. Io posso sbagliare. Tu no.
E allora fuori le palle. Tu e i tuoi ragazzi. Perché le avete eccome: Borussia e Arsenal al San Paolo, Verona, Milano, Roma sponda biancazzurra e, ti dirò, persino Torino fino ai due supergol che han chiuso la partita. Voglio vedere esultare Higuain come se non ci fosse un domani per farlo un'altra volta, voglio Hamsik che esce dal campo mentre vinciamo e ci incita a tifare con una grinta feroce. Li ho visti quegli attributi, altroché. Questa serie A è scarsa, ma tutti si sanno difendere tranne noi, la rabbia e il coltello tra i denti servono pure con le ultime in classifica. Questa, caro Rafa, è una lettera d'amore. Non voglio perderti, già ti amo troppo. Quindi vedi di chiedere a Fabio come si tira fuori quella benedetta cazzimma. Sì, imparami pure questa parola dopo trammammuro, ok? E se esageri nelle urla o ti lasci andare a qualche buffetto, tranquillo. Il tuo allenatore in seconda è avvocato, ti difende lui. Sperando che almeno lui sappia difendere, sia chiaro.