L'importanza di parlare spagnolo
Di Antonio Moschella
Confesso che ieri dopo il gol della Sampdoria stavo già iniziando a lanciare anatemi in uruguayano al povero Miguel Ángel Britos. E invece a metterla alle spalle di Andujar era stato Raúl Albiol, che in alcune cappellate ricorda l’ex capitano Paolo Cannavaro. Il mio pregiudizio su Britos mi ha tradito e mi sento colpevolmente in malafede. È vero che il numero 5 azzurro le sue giocate annaspate le compie regolarmente, così come puntualmente regala dei brividi a noi tifosi, ma la sua titolarità è ormai consolidata.
“Britos deve fare una statua a Benitez”, afferma Michele, compagno di battaglie e travasi di bile da qualche mese a questa parte. E in effetti è proprio così. Mentre gustavo tranquillamente l’esibizione di ieri di Higuain e co. ho pensato che l’evoluzione di Britos possa essere frutto di una migliore comunicazione con Benitez, del quale condivide la lingua madre, fatta eccezione per pochi termini gauchos e per quella ‘y’ che diventa ‘sh’ come nel caso di Andujar, del Pipita e di Gargano. Comprendersi non solo con i piedi ma soprattutto con la lingua è stato lo scatto decisivo della scintilla tra l’allenatore e il centrale difensivo.
Koulibaly, all’inizio stagione perno della retroguardia, è stato definitivamente scavalcato nelle gerarchie. Nell’ultimo mese, partendo dal nefasto pareggio casalingo con l’Inter, Britos ha disputato da titolare 4 partite su 6 in campionato (con la Fiorentina era squalificato) e tutte le 4 di Europa League. Evidentemente Benitez, che ogni giorno visiona in allenamento il rendimento dei suoi, preferisce puntare sui suoi rilanci e sulla sua esperienza, qualità in cui a suo avviso l’uruguayano è superiore al francese.
Stiamo assistendo alla rivincita di uno ‘zappatore’ bistrattato voluto a Napoli da Mazzarri. Ad esaltarlo è stato invece Benitez, Una sorta di brutto anatroccolo, il nostro Miguel Ángel, il cui nome ricorda quello di un grande artista con pennello e scalpellino alla mano. Il difensore uruguayano, dal canto suo, sta provando a trasformarsi in un valido gregario, mentre per l’arte forse è meglio passare dal pennello alla brace. Cucinando un asado sì che ci sa fare come pochi. E Benitez, grande oratore e ottima forchetta, lo sa bene.