Di Antonio Moschella
Da quando ho memoria (calcistica) non ricordo aver trascorso un compleanno da primo in classifica in solitario. La mia nascita sei mesi prima dell’arrivo di Lui mi proiettò al mondo all’alba della più gloriosa tappa della storia del Napoli. Vivo, ma quasi incosciente, rimembro sfumature azzurre nel maggio 1987 e ho qualche flash di un Napoli - Lazio di fine aprile 1990, quando i miei 6 anni mi permettevano di leggere quanto la televisione trasmetteva, ma il mio cuore non aveva ancora assorbito la foga appassionata che si sarebbe formata poi negli anni più tristi a venire, quando l’adolescenza solleticava al mio interno e faceva esplodere l’irrazionale malattia di chi si fa grande nelle avversità.
Oggi, che compio 32 anni, faccio colazione in un bar argentino - ogni riferimento a persone realmente esistenti è puramente casuale - mentre cerco ancora di realizzare quanto sta accadendo. Il regalo non è affatto male, direi. Gonzalo e José Manuel si sono prodigati nel farmelo, anche se non lo sanno, perché in realtà io sono solo uno tra i tanti impazziti di gioia a scoppio continuato…
Lontano da casa le sensazioni sono meno forti, o forse tutto il contrario. Noi emigrati per scelta o per obbligo troviamo magicamente quell’attaccamento viscerale alle origini in momenti come questi. Il primato momentaneo è uno di quegli scorci di vita frustranti da vivere all’estero. Quasi un anno fa ebbi la fortuna di sentire la pelle d’oca a Piazza del Gesú con gli amici di sempre mentre gli azzurri battevano la Juve e portavano a casa la Supercoppa Italiana. Quest’anno il tempismo non è stato simile.
Eppure, meglio non accontentarsi, stravolgendo completamente il famoso proverbio. Perché il godimento effimero, che noi napoletani conosciamo anche troppo bene rispecchiato nel sorso rapido di un caffé bollente che altri popoli non apprezzano, è fine a sé stesso e controproducente, se provato alla lunga.
Oggi, come da undici anni lontano da casa, sento il boato del San Paolo ancora vivo, dopo che domenica in un bar qualcuno nella foga del secondo gol di Higuain mi ha strappato una maglietta. Ma, onestamente, chissenefrega. Il Napoli è primo, da solo, dopo 25 anni. A quell’età ero alto 1 metro, avevo un casco di capelli in testa ed ero ancora innocente. Me lo meritavo. Adesso forse no, ma ho deciso di non disperarmi, anche perché ci sarà da soffrire fino a maggio, quando conterà veramente essere lassù.
Nel frattempo mi godo il regalo arrivato in anticipo, che durerà tutta la settimana, manco l’avessero fatto apposta quei matti in maglia azzurra, che continuano a farmi accapponare la pelle più dell’ultima volta in cui eravamo in cima. Perché quando tifi Napoli, non sei mai troppo ‘vecchio’ per vibrare e piangere.