Juventus-Napoli, la civiltà dei tifosi non si deve fermare a Eboli
di Boris Sollazzo
Mi hanno insultato dicendo che li avevo insultati io. Ma non è colpa mia se nei servi sciocchi si sono identificati, anche se io non intendevo i tifosi juventini, ma tutta la corte di avversari invidiosi e di alleati viscidi che preferiscono il solito potere alle nuove (e altrui) rivoluzioni. Sono colpevole, dunque, del loro inconscio. Non dovrei parlarne, anzi non dovrei parlar con loro come un mio caro amico, juventino (sí ho anche amici zebrati e mi stimano e mi vogliono bene, pensate), il grande attore Nicola Nocella, mi ha sempre detto di fare. Ma io credo nel confronto. Credo in Alberto Trevisan, irriducibile nella sua juventinità alta e nobile (anche se nella sua spiegazione ci sono un paio di premesse fallaci, a mio parere), credo in Matteo Marino che mi fa conoscere la storia dello Juventus Club di Eboli. Ecco, se non avessi letto tutti i messaggi insultanti, privati e pubblici, su Twitter e su Facebook (422 da 370 persone diverse, dicono le notifiche in mail: alcuni hanno fatto doppietta o tripletta tanto si divertivano) non avrei trovato loro due. E me ne sarei pentito.
Alberto mi ha fatto riflettere su alcuni toni e su come anche quelli (pochi) intelligenti come lui abbiano letto il mio articolo diversamente da come desiderassi. Matteo, sia pur con fare provocatorio e sfiduciato nei miei confronti, ha portato a mia conoscenza una storia pessima.
Sulla serranda del club di supporter bianconeri del comune campano è comparso un -39. Matteo è convinto sia opera di tifosi azzurri e posta una foto di qualche mese prima. Dove la matrice è chiara e ci si augura il tumore a chi tifa Juventus. Una schifezza senza se e senza ma. Non che io non abbia mai augurato un malessere a uno juventino, ma vi assicuro che non sono mai andato oltre una robusta dissenteria.
E allora capisco che poco importa chi sia stato a scrivere quella vergogna. Se vogliamo, noi azzurri, mostrare la nostra diversità - e sono convinto vi sia - dobbiamo ribellarci a questa aberrazione. Andare, il prossimo fine settimana, a pulire quella serranda. E lo dice uno che lo sfottó lo ama, anche su muri e altri arredi urbani, pubblici o privati: trovo meravigliosa quella scala che porta da via Montaldo a Marassi, a Genova, che a ogni derby, promozione e retrocessione diventa rossoblu o blucerchiata. E mi farebbe ridere un Ciuccio a cavallo di una zebra, o viceversa, dopo lo scontro diretto, a seconda del risultato, sul muro di quel club o sul suo avvolgibile.
Ma augurare la morte a un avversario, o gioire di tragedie accadutegli, no. Mai.
Ricordo bene quella sera di più di 30 anni fa. Mio padre davanti al televisore in bianco e nero che vedeva tifosi e calciatori bianconeri. Era lì per gufare. E anche io. Perché noi italiani siamo così (anche se, confesso, la bella Juve dell'anno scorso contro il potente e arrogante Barcellona ha avuto il mio supporto). Poi succede l'impensabile, un atroce mix di violenza cieca, paura, inadeguatezza strutturale, incapacità varie. Trentanove persone muoiono. Padri di famiglia, bambini, ragazzi. Mio padre ha le lacrime agli occhi, io tremo dalla rabbia. Sì, dalla rabbia. E provo ancora quella sensazione, perché amo il calcio come poche altre cose al mondo e quell'orrore colpiva e colpisce ancora al cuore ciò che me ne ha fatto innamorare.
Allora lo dico chiaro e tondo: se scrivi, canti, urli o anche solo pensi "meno 39" sei come chi attacca la mamma di Ciro o giustifica ed esulta per la sua morte. Napoletano, milanista, interista, foggiano o islandese che tu sia. Anzi, sei 39 volte peggiore di lui. Non mi interessa chi sia stato, ma possiamo andare lì a portare solidarietà, aiuto e vernice. Scrivere di una rivalità in maniera divertente, fare graffiti irriverenti, usare gli stessi strumenti di quegli idioti per cambiare il verso di un atto incivile, di qualsiasi colore sia. Noi possiamo colorare la reazione ad esso.
Ed è giusto dire che se sui social i bianconeri sono spesso leoni, anzi zebre da tastiera buoni solo a linciare in branco, vigliaccamente e senza ironia, sanno solo venire a galla quando vincono (spesso, ma come gli bruciava stare sotto), allo stadio, anzi allo Stadium, sono notevolmente migliorati. Da quelli che hanno messo lo striscione contro il divieto delle trasferte fino all'enorme "+39 rispetto" passando per l'assenza di cori contro il Vesuvio (vero è che senza avversari nessuno poteva sentirla), quella civiltà è stata una bella sorpresa. Speriamo duratura.
E allora a Eboli andiamoci tutti. Perché possiamo essere uniti nella condanna. Sperando che in futuro sapranno fare lo stesso con noi. Perché per me rimarrà sempre un mistero come augurarsi lo sterminio di un popolo, inneggiare a un'epidemia letale, cantare la distruzione di una città sia definito da goliardia dagli stessi che si indignano per ciò che è accaduto allo Juventus Club Eboli.