Attento Benitez o finisci come Leonardo: consigli non richiesti da un milanista-napoletano

Talenti (ieri Ronaldinho, oggi Insigne) costretti a rincorrere mezzofondisti. Mediani (Pirlo come Jorginho) condannati all’enfisema. Basterebbe un 4-3-3 per aggiustare tutto. Parola di un rossonero che non ha dimenticato...
  • di Enrico Bruno

    Un atroce dubbio alberga nella mia mente da qualche giorno: il Napoli di Rafa Benitez mi ricorda molto da vicino il Milan del “pollastro” Leonardo. Stesso modulo, stessa cocciutaggine nel non cambiarlo, stessa fragilità difensiva e stessa forza offensiva, alle volte inconcludente.

    L’appellativo “pollastro” venne affibbiato all’allora tecnico rossonero dopo il derby di ritorno, che affrontò con grande insipienza tattica contro il lupo Mourinho: il quale fece del  Milan, inutilmente manovriero in attacco ma scoperto in difesa, un sol boccone.

    Ricordo che Leonardo ebbe l’arduo compito di condurre il Milan dei successi post-ancelottiani senza un Kakà appena ceduto al Real Madrid (Rafa ha affrontato la cessione di Cavani) ma con una rosa comunque più che valida, che annoverava ancora gente come Nesta e Thiago Silva centrali difensivi, Pirlo, Ambrosini, e Gattuso a centrocampo, Ronaldinho, Seedorf e Pato in attacco. Il buon Leo scelse subito un iper-offensivo 4-2-3-1: sì, avete letto bene, lo stesso modulo di Don Rafè, che, purtroppo per i milanisti, mostrò evidenti scompensi, con immense praterie a centrocampo e con una squadra spesso spaccata in due.

    Pensate, il buon Leo mise Pirlo come mediano, assieme ad Ambrosini, davanti alla difesa, Ronaldinho (sicuramente tra quelli che, per genialità e tecnica, hanno un posto nell’olimpo del calcio a fianco a Zeus-Diego) esterno sinistro, Seedorf, un grandissimo ma certo non uno noto per le sue qualità di incontrista, mezzapunta dietro il centravanti, e, udite udite, esterno destro un giovane Pato che, prima di essere travolto dagli infortuni e dalla sua indolenza brasiliana, rappresentava uno dei migliori attacanti del momento. Il risultato fu un Ronaldinho ispiratissimo in avanti ma nullo in fase difensiva, un Pato a pezzi, Pirlo e Ambrosini ricoverati per continui enfisemi polmonari perché costretti (un po’ come Inler e Behrami) a correre per tutti, e colossi come Nesta e Thiago Silva costretti alle peggiori figuracce. Indelebili nella memoria dei milanisti, si fa per dire, restano le due partite di Champions contro il Manchester Utd nelle quali Nesta e Thiago furono esposti, senza alcuna protezione, alle scorribande avversarie (e certo Fernandez non è lontanamente paragonabile, per intelligenza tattica e coordinazione motoria, nemmeno al Nesta artritico degli ultimi tempi).

    A fine stagione il Milan fu terzo, ma soprattutto lasciò l’amaro in bocca perché diede la netta impressione che, con un po’ di oculatezza, si sarebbe potuto lottare fino in fondo contro una grandissima Inter mouriniana. Sarebbe bastato meno intransigenza tattica, l’adozione di un altro modulo, il 4-3-3, proteggere meglio la difesa grazie appunto a un centrocampo a 3 e avanzare Dinho e Pato ad attaccanti esterni puri per ottenere di più. Ebbene, guardando Borussia-Napoli, Juve-Napoli e Roma-Napoli di Coppa Italia, ho avuto le stese sensazioni di fragilità difensiva, di costante inferiorità numerica a centrocampo e di una fase offensiva a tratti spumeggiante ma a tratti anche leziosa. Ma sopratutto ho la sgradevole sensazione che la squadra schierata con un 4-3-3 con Jorginho affiancato da Behrami e Inler o Dzeimali (o forse anche dall’irritante e smarrito Hamsik di questi tempi) e, soprattutto, con un attacco in cui Insigne, sgravato di compiti troppo difensivi, fosse riconsegnato al suo ruolo di attaccante esterno, esprimerebbe il meglio di sé.

    Mi chiedo: perché costringere i due mediani ad un insano logorio fisico, depotenziare Insigne pretendendo da lui di arretrare sulla fascia fino all’altezza difensore? Immaginate se l’allenatore del tempo avesse chiesto al divin codino Baggio, miglior talento italiano degli ultimi 30 anni (altro che Totti), di giocare sulla fascia e di inseguire dei mezzofondisti come Maicon e Gervinho: cosa sarebbe accaduto?

    Ed allora perché ostinarsi a  svilire le potenzialità dei migliori talenti della squadra (Hamsik non renderebbe meglio se messo in un centrocampo a tre dove avrebbe molto più spazio per lanciarsi?) per perseverare nella propria intrasigenza tattica? Del resto anche Conte iniziò con un 4-2-4 e poi mutò il modulo nel 3-5-2 che, assieme al tridente Mazzoleni-Rizzoli-Tagliavento, gli ha regalato tanti trionfi.

    Ed allora caro Rafa pensaci bene perché, forse, basterebbe poco per non essere ricordati come un pollastro brasiliano, accattivante ma sprovveduto, bensì come uno di quei galli messicani che attaccano e matano l’avversario.

    Spero che questi miei pensieri siano solo il frutto dell’approssimarsi della sfida con il Milan e, soprattutto, delle prime abbuffate di chiacchiere carnevalesche e che, invece, il buon Rafa, da allenatore vincente, sia ispirato dal dolce e lontano richiamo della vittoria che non tutti hanno il privilegio di poter avvertire.

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