Al Plebiscito con Pino c’era tutta Napoli, uniti possiamo tornare alla magìa dei suoi anni d’oro
di Errico Novi
Ci voleva il lutto, l’addio a uno dei nostri fratelli più grandi, per ritrovarci uniti. Ieri sera a piazza Plebiscito c’era davvero tutta Napoli. Tutta. Non solo i centomila fisicamente presenti. Tutte le anime della città hanno partecipato. Gli scettici e gli speranzosi, i sentimentali e i burberi, gli scaramantici e i cinici. È una serata che non dimenticheremo più. Perché con Pino passa definitivamente alla storia una precisa stagione di Napoli: quella della creatività che si fa strada tra le macerie. Lo ha giustamente ricordato Pietro Gargano nel suo editoriale sul Mattino di oggi: proprio Pino Daniele, e i suoi James Senese, Rino Zurzolo, Tullio De Piscopo, Tony Esposito, diedero la mano alla città perché si alzasse tra le rovine del terremoto, in quel concerto del 19 settembre 1981, a meno di un anno dal sisma. Con i palazzi ancora inagibili, e quelli crollati, e quegli altri transennati, e gli sfollati nei container, quella sera Napoli si riempì, respirò profondamente, ascoltò una musica straordinaria e capì che si poteva andare avanti. Ma tutta la traiettoria di Pino parla di questo, già dagli anni Settanta. Lui si fa strada in una Napoli piena di problemi, ancora straziata dall’epidemia di colera, con tassi di disoccupazione vertiginosi. Era una città, quella dei suoi inizi, apparentemente messa peggio di quella di oggi. Eppure era una città che sapeva sperare. Tanto da far germogliare il talento di questi suoi giovani, di Pino e dei suoi amici. Tanto da essere luogo e laboratorio d’avanguardia della musica. Come ricorda Marino Niola in un’intervista concessa al Garantista che trovate ripubblicata su Extranapoli, in quegli anni tra fine Settanta e inizio Ottanta l’eroina faceva stragi qui più che altrove, eppure «Napoli aveva uno slancio». Eravamo proiettati verso la vita, verso l’orizzonte del nostro cielo, sapevamo mettere al mondo “campioni” come Pino e Massimo Troisi, sapevamo farci casa per un altro campione irripetibile come Diego, e riuscivamo a essere dolcemente autoironici come nel Così parlò Bellavista di De Crescenzo.
Ora quella stagione è lontana. Si è persa. Più sono passati gli anni più Napoli si è svuotata, di speranza e di giovani. La scomparsa di Pino ce lo ricorda. Ma nel rimetterci tutti insieme nella stessa piazza, forse ci aiuta anche a vedere meglio la nostra condizione. A riconoscere la distanza da quella Napoli di trent’anni fa, straziata dai suoi drammi eppure vitale. E se vediamo quanto sono lontani quel ricordo e quella situazione, può darsi ci torni la voglia di ricominciare. Di capire perché, cosa è successo, e di ricominciare a coltivare la speranza. Quella che la musica di Pino, pur con tutte le sue verità amare, non ha smesso mai e mai smetterà di cantare al mondo.