Gol a Bergamo in extremis: quell'urlo con i ragazzi di Barcellona
di Boris Sollazzo
Fine novembre. Una fuga a Barcellona. Bella. Barcellona e la fuga. Tre giorni che mi rimarranno dentro. Per tanti motivi che non vi sto a dire, perché qui conta solo una di quelle sere. Il 26 novembre. Già, perché c’è Atalanta-Napoli, molto importante per la squadra di Mazzarri. Sono reduce dall’ubriacatura contro il Manchester City, ammetto d’essere quasi scarico. E temo lo siano anche i miei ragazzi.
Ma come sempre, devo partire alla ricerca di un luogo in cui vedere gli azzurri. Sono riuscito a scovarli a San Sebastian e Ouagadougou, ad Anversa e Abu Dhabi, a Haifa e Cannes. Cosa mi può fermare? Nulla, specialmente se hai la fortuna di essere laddove una comunità partenopea, giovane e nutrita, già c’è. Si riunisce attorno al Napoli Fans Club @Barcelona. Un club azzurro nel pieno della Catalogna, in cui l’identità si impone con magliette (geniali: ancora ne aspetto una, insieme alla tessera), striscioni, viaggi epici e persino manifestazioni.
Chiamo Alessandro Smorra, presidente e leader di questo gruppo: faccia pulita e sguardo vivace, sorriso da napoletano che la sa lunga, simpatia naturale. Capisce che la mia ansia dipende dal fatto che Bergamo è un campaccio e che voglio, anzi devo vedere il match. Mi dice che il "solito posto" non è disponibile e mi dirotta su un altro locale. Temo il peggio. Corro là almeno con un’ora di anticipo, non lo trovo, e nel frattempo il pub si riempie di blaugrana. Si mettono davanti alla tv, per Getafe-Barcellona, poco più che una formalità. Stanno rincorrendo il Real e io già sacramento e cerco una rete wi-fi che mi possa aiutare almeno con il risultato e qualche immagine. Mentre digito nervosamente sul mio smartphone sento una comitiva arrivare. Davanti c’è Alessandro, riconosco la voce. Mi saluta, entra, parla col proprietario, si fa accendere un’altra tv. Racconto loro di Napoli-Manchester City, scopro che il presidente era a Villareal, l’anno prima. Quando cadde la balaustra al gol di Hamsik. Era lì. Proprio lì, tra quelli che finirono in campo, nella paura generale. Ma lui mi mostra l’istantanea di qualche secondo prima. Lui proteso verso Ruiz e Hamsik. L’urlo di gioia, proteso in avanti sulle loro teste.
Mi racconta della sua vita là, della nostalgia per Napoli, mi presenta i suoi amici. Meravigliosi, simpatici, con storie da emigranti e (straordinari) cervelli in fuga: siamo tutti troppo giovani per l’Italia, tutti troppo sconcertati dal nostro paese.
Loro sono belli, uniti. Tutti. E cantano. Come se fossimo allo stadio. Tanto che i tifosi del Barcellona provano a rumoreggiare, ma noi ormai si è in Curva B, al San Paolo.
Si comincia. Il Napoli giochicchia anche bene, ma il primo tempo va via sullo 0-0. Nel secondo l’ex Denis, che forse ci aveva tolto lo scudetto, l’anno prima, quando era all’Udinese, sembra indemoniato. Ben più di quanto lo fosse in azzurro, anche se l’impegno, da lui, non è mai mancato. Dopo venti minuti, ce la fa: la mette dentro, anche bene. Un copione già scritto, Bergamo maledetta.
Io e Alessandro ci guardiamo, lui ha un moto di sconforto. Io lo rincuoro, sento qualcosa. Dall’altra parte del pub i catalani sfottono. Abbiamo la tentazione di reagire. Ci guardano. E si perdono il gol del Getafe. Mal comune mezzo gaudio? No, questo può valere al massimo per la Juventus, noi non siamo come gli altri: conta la nostra vittoria, non la sconfitta altrui. Il Napoli è contratto, fatichiamo ad avere speranze. E io dovrei averne meno degli altri, visto il mio pessimismo. E invece guardo, forse anche grazie a questo incontro, forse perché i giorni precedenti mi hanno regalato qualcosa di unico e irripetibile, io ci credo. Pure troppo.
Siamo al 90’, sembra finita. Alessandro è cupo, dopo aver cantato e urlato per tutta la partita. Gli altri sono arrabbiati e tristi. Lo guardo, per me è come se mancasse mezz’ora. Il buon Smorra quasi mi ride in faccia quando a 55 secondi dalla fine vedendo una timida salita di Maggio sulla destra, dico "cazzo, ragazzi, non è finita", cercando di motivare i giocatori almeno quanto i miei nuovi amici. Gli faccio cenno di guardare lo schermo. La palla va avanti, in maniera un po’ confusa. Arriva in area: un cross, un tiro sbagliato. Siamo bianchi come stracci, spaventati, speranzosi. Edinson Cavani è sulla traiettoria del fendente sbagliato. La appoggia dentro. Che gusto. Orobici, Edinson non perdona(va) ed era ancora il periodo della zona Mazzarri. C’era da aspettarselo.
Esultiamo, ci abbracciamo, io corro fuori dal locale come il Matador si fa tutto il campo ed esulto come Tardelli ai Mondiali (di Spagna, appunto), poi rientro e scherzo i blaugrana, che continuano incredibilmente a perdere. Smorra mi abbraccia, urla con me, mi porta qualche metro fuori dalla portata dei tifosi catalani. Non si sa mai.
Finisce la partita. Sorridiamo tutti, godiamo. La notte è ancora giovane, l’adrenalina è tanta. Andiamo a bere. In un posto delizioso, con poche sedie. Ci facciamo stretti. Non fa nulla. Siamo una dozzina di innamorati, di colori speciali che anche sotto il cielo di Spagna non sbiadiscono. Anzi, sono più vivi.
Ale, grazie ancora. Salutami tutti. E se segna Higuain, pensatemi. Che questo Napoli tutto spagnolo mi esalta e mi sa che piace pure a voi: che col Barcellona è un derby, ormai, e far bene con dei galacticos deve farvi godere il doppio.
Mi mancate ragazzi. Torno presto. A tifare insieme, berci una cosa e parlar di cose serie, in mezzo a battute divertenti.
Mi sentii a casa quella domenica. Napoli e il mondo. Napoli è il mondo.