La filosofia di Italo Allodi
In occasione della ricorrenza del 10 maggio, è il caso di rendere omaggio a chi gettò le basi per la costruzione di quel grande Napoli: Italo Allodi. L'arrivo nel 1985 sotto il Vesuvio di colui che al tempo era considerato il più importante dirigente calcistico italiano rappresentò la svolta per il decollo definitivo del progetto tricolore, iniziato l'anno prima con l'ingaggio di Maradona. Insieme a lui non solo arrivarono tasselli importanti dell'undici più famoso della storia azzurra, ma grazie alla sua esperienza la società colmò quel gap con le rivali che fino a quel momento le aveva sempre impedito di sedersi al tavolo dei vincitori.
Ma chi era Italo Allodi? Classe 1928, figlio di ferroviere, in gioventùera stato un discreto centrocampista mlitando anche nel Parma e nella Carrarese. Il suo talento vero lo dimostrò però dietro la scrivania, ricoprendo incarichi dirigenziali con l'lnter (la grande Inter), la Juventus, la Fiorentina e in Federcalcio. La sua è stata una carriera anche piena di ostacoli: numerose infatti sono state le accuse di corruzione, che mai però hanno portato a una condanna. La permanenza a Napoli fu bruscamente interrotta nel gennaio del 1987 quando lo colpì un ictus. Il Napoli proseguì in ogni caso la sua marcia trionfale e quel 10 maggio molte furono le dediche sentite e commosse per il lavoro svolto da Italo Allodi.
Di seguito pubblichiamo un'intervista del Guerin Sportivo datata settembre 1976. In quell'occasione Allodi ebbe modo d'illustrare la sua riforma legata a Coverciano, un passaggio che costituì la premessa per la vittoria al mondiale di Spagna del 1982.
TORINO - Italo Allodi come Franco Maria Malfatti. Ha fatto la riforma della scuola. E forse la sua è stata più difficile, perché ha riportato sui banchi gli allenatori, ovvero i maestri. La riforma Allodi, contrariamente a quella di Malfatti, non ha ricevuto critiche. Tutti gli hanno detto bravo e tutti hanno scritto che finalmente l'università di Coverciano è diventata una cosa seria. Non si limiterà più a consegnare diplomi.
«Era l'unico sistema per rilanciare il calcio italiano - spiega - se si vogliono raccogliere i frutti bisogna preparare prima di tutto gli istruttori. E' il maestro che forma l'allievo».
- Ma i frutti arriveranno?
«Io penso di sì, ma naturalmente non bisogna aver fretta, la mia è stata una programmazione proiettata nel tempo. E io dico che ì frutti arriveranno proprio dal settore giovanile».
- Hai fiducia nei nostri giovani hippies?
«Come talento naturale non ci batte nessuno, ma vediamo che chi ha talento non ha fondo. Occorre quindi un allenatore, che lo completi, che gli dia il fondo».
- Gianni Brera sostiene che la nostra razza ha complessi di inferiorità che sono atavici.
«Secondo me invece questo discorso non è più valido da quando è finita la guerra, è arrivato il boom e anche il figlio dell'operaio ha potuto nutrirsi con bistecche e vitamine».
- C'è anche chi dice che i nostri giovani non hanno la mentalità degli sportivi.
«E questo può essere vero. Ho letto proprio l'altro giorno un intervista di Ferruccio Valcareggi che è sempre un uomo dì buon senso. Faceva notare che mentre lui alla sua età va sempre a giocare a tennis ì suoi figli preferiscono giocare a carte».
- A proposito: perché in campo internazionale si vince meno che ai tempi della tua Inter?
«Perché l'Inter non era soltanto dì Moratti di Herrera e del sottoscritto. In quell'Inter c'erano anche grandi campioni, a cominciare da Suarez, da Jair, da Peirò, e non bisogna dimenticare i vari Angelillo, Maschio, Szmaniak».
- Sono tutti stranieri ...
«Appunto, gli stranieri ci aiutavano a vincere, come ci avevano aiutato nel 1934 a diventare campioni del mondo. L'Inter che vinceva era anche l'Inter degli stranieri. E c'erano stranieri anche nell'Ajax della favolosa Olanda, come ci sono stranieri nei Borussia della Germania Campione del Mondo».
-Sei quindi per la riapertura delle frontiere?
«Io adesso sono dall'altra parte della barricata e come direttore del Settore Tecnico devo cercare di risolvere il problema in maniera autarchica, però non si possono disconoscere certi dati dì fatto».
- Vuoi far studiare gli allenatori per almeno due anni, li vuoi mandare all'estero, hai intenzione di invitare a Coverciano i «mostri sacri» di un tempo. Lo fai per dimostrare che il calcio è davvero cambiato?
«Cambia il mondo, cambia, la società, è logico che cambi anche il calcio. Guai se non ci fosse l'evoluzione. Ma io voglio invitare a Coverciano i più grandi tecnici del passato perché così gli allenatori delle nuove leve possono prendere conoscenza anche degli schemi di una volta».
- Rocco ha già detto che non viene: considera un'offesa il tema che gli hai scelto, non si considera il padre del catenaccio.
«Forse Rocco non ha capito quello che intendevo dire o forse quello che ha detto lui è stato male interpretato. Nel mio invito non c'era alcuna offesa».
- Rocco ha detto anche che è assurdo affidare la direzione del corso allenatori a uno che al massimo è stato «secondo» di Fabbri al Mantova.
«Io al Mantova ero direttore generale e in più facevo il secondo a Fabbri. In tre anni abbiamo vinto tre campionati, segno che qualcosa l'abbiamo fatto».
- Ma Rocco ...
«Senti, io non voglio polemizzare con Rocco, anche perché ho grande stima di lui. Devo solo far notare che il suo discorso non regge».
- Perché?
«Perché è come dire che il direttore di un'azienda, poniamo la Fiat, dovrebbe aver fatto, che so, il tornitore. Un ragionamento del genere non sta in piedi».
- Forse Rocco ce l'ha perché dopo Valcareggi non gli hai offerto la Nazionale...
«Io non gli ho mai offerto niente e lui sa benissimo che se non è stato scelto lui come successore di Valcareggi non è dipeso da me».
- Carraro gli aveva promesso che l'avrebbe portato a Monaco, poi gli è stato detto che il suo posto era stato preso da Alfredo Casati, tuo segretario.
«Casati a Monaco è venuto come turista e lo non so se Rocco sarebbe venuto in Germania come turista. Eppoi se parla così per quella faccenda, significa che ha del risentimento, quindi non può essere obiettivo, non parliamone più».
- Ma questa polemica ti scoccia o no?
«Non capisco perché il «panni» non perde occasione dì tirarmi le frecciatine mentre per me lui è stato un grande allenatore».
- Parli al passato ...
«Certo, perché uno a 64 anni non può pretendere di andare sul campo, però, uno che ha 64 anni e ha accumulato una grande esperienza può mettere al servizio degli altri questa sua esperienza».
- Secondo te...
«Nel calcio Italiano ci deve essere posto per tutti questi "mostri sacri" perché hanno un patrimonio di esperienza da trasmettere. Eppoi perché ho sempre sostenuto che anche il grande allenatore della Juventus, del Torino, del Milan e persino della Nazionale ha qualcosa da imparare, che so, dall'allenatore del Pontassieve».
- Nel calcio...
«Non solo nel calcio ma anche nella vita c'è sempre da imparare da tutti. Si impara nel grande stadio, come nel prato e persino nel cortile. Purché ci sia la buona volontà».
- E' vero che volevi portare a Coverciano anche Valcareggi?
«Era stato Valcareggi a telefonarmi, ci siamo visti e lo gli ho detto quello che è poi apparso sui giornali: e cioè che per un uomo come Valcareggi un posto a Coverciano ci sarebbe sempre stato. Non dimentichiamo che, dopo Pozzo, Valcareggi è quello che ha vinto più di tutti».
- Poi però ha preferito il Verona ...
«Segno appunto che nel calcio c'è posto per tutti».
- Ora gli ex giocatori vogliono entrare nella stanza dei bottoni: Rivera, Riva, Mazzola. Come giudichi questo atteggiamento, positivo o negativo?
«Io ti dico che l'impressione migliore l'ho ricavata da un recente colloquio con Bulgarelli che è entrato nel Bologna in punta di piedi. Ho visto che è lieto di portare nel Consiglio la sua esperienza come è lieto di far sua l'esperienza degli altri, che sono più abituati di lui ad amministrare».
- In altre parole, dici che i calciatori come dirigenti devono fare la gavetta invece di fare il golpe,
«Certo, e su questo sono d'accordo con Rocco: prima di prendere gli applausi si deve dimostrare di valere».
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