Girai le spalle al campo, poi un boato: “Francini, ha segnato Francini!”
di Francesco Albanese
Il mio Roma-Napoli non può che essere quello della stagione 1987-88. È autunno. Gli azzurri (scudettati e coccardati) si presentano all’Olimpico accompagnati dalla solita marea azzurra che inonda curva e distinti nord più una nutrita pattuglia di tifosi mischiati con i romanisti. Già mischiati. In quel momento esisteva ancora il gemellaggio. Una magia destinata a dissolversi con la crescita vertiginosa della squadra di Diego.
Alla corazzata dell’anno precedente si sono aggiunti Careca e Francini, purtroppo però il sogno Coppa dei Campioni si è da subito tramutato in incubo con l’eliminazione al primo turno ad opera del Real Madrid. Bianchi è stato bravo a far assorbire il trauma al punto che il bis in campionato appare poco più che una formalità.
Domenica 25 ottobre, il giorno di Roma-Napoli mi dirigo verso lo stadio come al solito molto presto, l’ansia divora me e mio padre. La sfida con i giallorossi è il nostro derby. I miei nonni si trasferirono da Napoli a Roma nei primi anni ’50 portandosi dietro 2 figli e la speranza di una vita migliore.
Il ponentino non ha corrotto la fede sportiva di mio padre. Tifoso del Napoli era, tifoso del Napoli è rimasto. Un amore più forte di tutto, anche del terribile 8 a 0 che proprio la Roma ci inflisse nel 1958: quella fu la prima volta che mio padre vide il Napoli dal vivo!
Finalmente, dopo anni di bocconi amari, la musica è cambiata. Con Maradona in campo la rotta si è invertita e ai ventimila sostenitori azzurri non restano solo i cori d’incoraggiamento della Sud conditi spesso da cinquine di gol. Con Diego si segna e si vince. Come nel campionato precedente. Assist di Giordano e tocco raffinato del Diez: Olimpico espugnato e il Napoli inizia la cavalcata verso il primo storico titolo.
Dopo anni di presenza costante, mio padre ed io purtroppo quel giorno mancammo l’appuntamento con la gloria. A fermarci furono i lavori di ristrutturazione della casa: un destino balordo.
Anche per questo motivo il 25 ottobre del 1987 dovevamo essere al nostro posto, immersi nel furore colorato di azzurro. Stavolta però il clima era diverso. Ancora oggi ricordo lo sguardo carico d’odio che lanciò un ceffo superando la 127 dalla quale un tredicenne (io) sventolava la sua bandiera col ciuccio impresso. Lo stadio distava chilometri, ma l’atmosfera era chiara. Una volta saliti a quattro a quattro i gradoni che conducevano alla Nord provai una sensazione di stupore e paura. La folla anche se festosa m’inquieta. Cori, fumogeni, frizzi e lazzi fanno da contorno al prepartita: “Noi staremo sempre qua...”. Qualcosa poi si guasta. Dalla mia visuale percepisco poco, ma un tam tam di voci che si accavallano a poco a poco trasformano gli amici romanisti in qualcosa d’impronunciabile. Al fischio di Magni (l’arbitro di quel giorno) il Napoli si catapulta nell’area romanista. Maradona non è al meglio, ma ci pensano gli altri due tasselli del Ma.Gi.Ca a spaventare Tancredi. Zero a zero a fine primo tempo. La ripresa sembra un film. Qualcosa di incredibile. Pruzzo di testa sblocca su calcio d’angolo. Quello sarà il suo unico centro del campionato 1987-88. La Nord ora ribolle. Davanti non c’è più un avversario gemellato, come se non bastasse Magni mostra pure due rossi al Napoli. Careca cade nella trappola di Collovati, mentre Renica, già ammonito, strattona un Boniek in fuga. Il sorriso non abita più tra i napoletani, la curva è ora preda degli istinti più bassi. In una parola si mette male al punto che mio padre, notata anche la mia inquietudine, mi prende la mano e mi fa cenno di seguirlo. Manca ancora mezz’ora al 90°. Abbiamo voltato da trenta secondi le spalle al campo, siamo ormai all’uscita con la prima rampa di scale già scesa. D’improvviso un boato pazzesco ci fa sobbalzare. Impossibile sbagliarsi. Ha segnato il Napoli! Proprio così, ridotti in 9 e sotto di un gol i campioni d’Italia hanno pareggiato. Mio padre la decisione l’ha comunque presa. Indietro non si torna. Leggeri corriamo verso l’auto mentre un vociare concitati c’insegue: “Francini, Francini, ha segnato Francini!”.