No, ministro Alfano, la tua “verità” non ci basta: te lo scriveremo in tutti i modi
di Francesco Bruno
“Quanto successo il 3 maggio scorso a Roma era imprevedibile. Stretta ultrà entro l’estate, chi ha il Daspo andrà in questura”. Parola di Angelino Alfano, intervistato dal Mattino. La Procura della Repubblica di Roma, a sua volta, precisa in una nota che “non c’è stata alcuna richiesta di acquisizioni di nessun documento riguardante la gestione del piano sicurezza da parte delle forze dell’ordine il 3 maggio”. La gestione dell’ordine pubblico nella serata della finale di Coppa Italia non sarà dunque oggetto di alcuna indagine. Il ministero dell’Interno e la magistratura classificano semplicemente i fatti di Roma come tragici ed imprevedibili scontri tra tifoserie violente. D’altronde, che sarebbe andata a finire così l’avevamo ampiamente capito, visto che prefetto e questore di Roma sono ancora al loro posto. Tranne noi di Extranapoli e alcuni media di stampo partenopeo, da subito tutti hanno orientato l’attenzione soltanto su quanto avvenuto all’interno dell’Olimpico quel 3 maggio. Per giorni si è parlato e scritto di Genny ’a carogna e della trattativa – presunta – tra ultras e Calcio Napoli avvenuta davanti alla curva occupata dai supporters azzurri, tralasciando il fatto che Ciro, che non era un ultrà, è stato sparato da “Gastone” De Santis a chilometri di distanza dall’Olimpico senza che vi fosse ombra di rappresentanti delle forze dell’ordine.
Giusto, in questi giorni, parlare di Daspo e di “modelli inglesi” per liberare il calcio dai violenti che lo sporcano di sangue. Ma è francamente troppo comodo liquidare gli eventi di Roma soltanto come conseguenza di atti compiuti da frange estreme di tifoserie calcistiche. Tifoserie che, una volta tanto, in occasione dei funerali, hanno dato dimostrazione di maturità e compostezza unendosi nel cordoglio per l’assurda morte del povero Ciro. Striscioni in ricordo del tifoso del Napoli sono stati esposti dai gruppi ultrà a Bari, Molfetta e Terlizzi. Una delegazione di ultrà biancorossi ha partecipato poi ai funerali del ragazzo partenopeo a Scampia. Tifosi del Brescia e della Fiorentina, ultras della Lazio, del Milan e del Verona, tanto per menzionare gruppi storicamente rivali degli azzurri, si sono stretti intorno al feretro del ragazzo. Un unico abbraccio con le curve del Napoli, un ideale scambio di magliette come si fa dopo una partita tesa, giocata con i nervi a fior di pelle.
Non è giusto, dunque, che lo Stato e le sue istituzioni provino a consegnare alla storia questa vicenda come la solita rissa tra ultras, stavolta finita imprevedibilmente male. Non è giusto che non si assumano la responsabilità di essere stati incapaci di garantire la sicurezza lungo il percorso che doveva portare famiglie e bambini a vivere una serata di gioia e divertimento. Dovremo essere noi a ricondurli alle loro responsabilità, continuando a pretendere che la verità dei fatti venga accertata e che giustizia sia fatta a 360 gradi. Andando a Roma e aspettando per settimane e mesi davanti al Palazzo di Giustizia, come scriveva Boris Sollazzo. Ma anche scrivendo costantemente agli organi d’informazione, intervenendo senza sosta ai vari “fili diretti” radiofonici, twittando periodicamente al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia, che sono così sensibili alla comunicazione 2.0. Alla fine, se non altro per sfinimento, dovranno pure darci retta. Lo dobbiamo alla memoria di Ciro Esposito, che corre il rischio di essere ricordato, al di fuori di Napoli e agli occhi di spettatori meno attenti, come un ultrà rissoso che quasi quasi se l’è andata a cercare. Ma lo dobbiamo anche a noi e ai nostri figli, che un domani potremmo trovarci a percorrere un altro viale Tor di Quinto.