Vado dove mi porta il Napoli
di Angela Giuliano (@artforcuozzis)
“Addò stavat' tutt' quant' quann' nuje stevem' a Gela?!”
“Io c'ero”, gli ho risposto.
Il silenzio che ne segue mette ancor più in evidenza i suoi occhi, che si fanno più grandi non so se per via della sorpresa o per effetto della coca.
In quel preciso istante mi son conquistata la qualifica di “sorellì” ed un posto di tutto rispetto in curva A.
È proprio vero, c'ero anche io.
La partecipazione a quella trasferta, un vessillo da esibire con orgoglio, da tirar fuori nelle controversie ultrà/occasionali per mettere a tacere entrambe le fazioni.
Io, appartenente a nessun gruppo, seguo la mia unica ideologia: vado dove mi porta il Napoli.
Quando mi va e quando posso, soprattutto.
E fu così che quel giorno sbarcai in Sicilia, a Palermo precisamente.
Era lì ad attendermi Tony, con la sua sciarpa azzurra sbiadita dal tempo e dalle innumerevoli volte in cui l'aveva avvolta al collo.
Tony, palemmitano, tifa Napoli ed ha scelto il 1984 come data ufficiale per indicare l'inizio della sua passione. Ma tiene a precisare che tifa Napoli da prima dell'arrivo di Maradona e non sa neanche lui perché; i colori azzurri gli sono sempre stati dentro ed anche fuori, com'è solito affermare mostrando con orgoglio la cicatrice che gli attraversa il palmo della mano; se l'è fatta dando un cazzotto nel vetro dopo una sconfitta, ma non ricorda esattamente quale.
Quando gli dici che è un grande lui risponde: “No, il Napoli è grande!”
È con lui che attraverserò un pezzo dell'entroterra siciliano diretti a Gela, dove ad attenderci per essere sostenuti ci sono capitan Montervino, Pià, Calaiò guidati dall'intramontabile Reja e il Napoli si chiama ancora “Napoli Soccer”.
La partita è molto sentita, c'è da agganciare la Sangiovannese sorpresa del campionato ed io e Tony proprio non potevamo mancare.
Il viaggio è paragonabile ad una traversata in carrozza dei primi dell'800, visto il tempo impiegato e le condizioni della strada; l'arrivo invece potrebbe essere la scena d'apertura d'un film western ambientato in un anno imprecisato del '900: un luogo desolato, saracinesche abbassate e aborti di cemento sparsi qua e là.
Non essendovi alcuna indicazione per lo stadio, o meglio per il campo dove la squadra locale gioca a pallone, chiediamo delle informazioni ad una delle tante figure silenziose che con lo sguardo hanno seguito il nostro passaggio fin da quando siamo arrivati.
Alla domanda segue un suono accompagnato da un movimento della testa verso l'alto, eseguito con lentezza, come se quell'uomo si sentisse in diritto di prendersi tutto il tempo che voleva per dare una risposta perché lui era lì da sempre.
La mia fervida immaginazione gli ha già piazzato in testa, in fotomontaggio, una coppola e sto quasi per far comparire anche una lupara tra le sue mani quando Tony attira la mia attenzione: si intravede all'orizzonte un gruppo di tifosi con delle sciarpe azzurre che cammina chiassoso.
Anche i colori sociali del Gela sono azzurri, nella mia testa dunque sta già per delinearsi un altro dei miei film: rissa, colata di cemento, la mia foto sui giornali...e invece no, sono tifosi del Napoli e con loro troviamo finalmente la strada per andare dove dovevamo andare.
Giunti a destinazione ci rendiamo immediatamente conto che sarebbe stata dura: il terreno di gioco è nu camp' 'e patan'.
Ma davvero eh, aldilà di ogni eufemismo.
Nell'attesa nessuna musica dagli altoparlanti, solo il rumore dei tifosi che si compattano e la sensazione, per me nuova, di avere sotto i piedi degli spalti nudi e crudi di cemento a far da base al mio sostegno.
Mi guardo intorno e noto altre due figure femminili, a parte me; con una di loro, Raffaella, attacco bottone. La reincontrerò per caso qualche anno dopo a Genova, fuori al Marassi.
Sulle nostre spalle gravano gli occhi curiosi delle persone affacciate ai balconi che danno direttamente sul campo; fa caldo, nonostante sia ottobre, ed inevitabile si leva a gran voce - da un punto imprecisato degli spalti - una richiesta ben precisa: “Signo', ce vuttat' nu poc' r'acqua pe' piacer'?”
La donna in questione, cristianamente, lancia delle bottiglie d'acqua dando così il via al proliferare delle richieste più varie: caffè, piatti di pasta, panini, parmiggiana di melanzane.
La partita ha inizio e come preventivato - e poiché 'o Napul' c'adda fa' semp' itta' 'o sang' - si rivela tosta.
Il tifo incessante a nulla serve, finisce 0-0 dopo una clamorosa occasione fallita da Calaiò iss' e 'o purtier'.
Il disappunto è diffuso, anche la Sangiovannese capolista ha pareggiato e restano due punti di distacco mentre il Perugia ce sta 'n'guoll'.
Si fa ritorno verso Palermo delusi e anche un po' incazzati, con un carico di jastemme ancora in circolo e l'amarezza di un'occasione sprecata, il solito venir meno dint' ê cusutur' del Napoli.
Erutto ancora rabbia quando al bancone del bar della stazione di servizio, in attesa del caffè, riconosco Calaiò che tornava per conto suo nella sua città d'origine.
In quel preciso momento sono di fronte ad una scelta: sputargli in faccia le jastemme che ancora mi salgono in gola, indigeste come i peperoni oppure perdonarlo.
Mi limito a dirgli, come una mamma al suo criaturo colpevole di una marachella : “Emanuè, t'avess' accis' quant'è vero Iddio ma nun fa nient' jà...te vulimm' bben' 'o stess'!”
Sorriso, foto e abbraccio.
E dalla domenica successiva Calaiò è tornato a segnare.