Diritti tv, Cina, Qatar. L'odore dei soldi che muove il calcio
di Nello Del Gatto
Un vecchio adagio recita “se non puoi vincerli, fatteli amici”. Vedendo però come i nuovi ricchi del pianeta stanno muovendosi nel campo sportivo, verrebbe da modificarlo in “se non puoi vincerli, comprali”. E’ in questo solco che si inserisce l’acquisto annunciato oggi dalla cinese Wanda Group della società svizzera di marketing sportivo Infront, per 1,05 miliardi di euro. Un acquisto che non deve lasciare il campo a speculazioni dietrologiche. Il calcio oramai non è più sport ma business e il business porta ricchezza se fatto bene. Il cinese è commerciante da sempre e chi ha i soldi cerca di investirli bene. Da qui, il passo per l’acquisizione della società del nipote di Blatter, è stato breve. Ma chi sono i nuovi proprietari del colosso svizzero dell’intrattenimento sportivo? Wanda Group è una delle tigri del paese del dragone. Una società nata, come tutte le grandi aziende cinesi, come impresa di grandi costruzioni che, approfittando della bolla del mercato immobiliare cinese, ha incamerato un bel po’ di soldi decidendo poi di diversificare gli investimenti. Sono arrivati i centri commerciali, gli alberghi (anche a Londra e negli Stati Uniti), i cinema. In questo campo, la Wanda è proprietaria anche della catena americana di cinema AMC e stanno costruendo una Hollywood cinese un complesso di studios per 8 miliardi di dollari a Qingdao, nel nord est della Cina. Inoltre i cinesi di Dalian (città costiera del nord est, terzo porto per importanza di tutta la Cina), sono i proprietari della società britannica di yacht Sunseeker. Meno di un mese fa, Wang Jianlin, uno dei più ricchi di Cina (e li i ricchi sono ricchi davvero), fondatore e presidente della società, ha annunciato l’acquisizione del 20% dell’Atletico Madrid per 45 milioni di euro. Diversificazione e investimenti mirati: nelle parole di Wang la decisione di acquistare la Infront nasce dalla volontà non solo di assicurarsi un assett importante nel proprio paniere, ma anche di sviluppare maggiormente il settore dell’entertainment in Cina. Badate bene: dell’entertainment, non dello sport. Nelle dichiarazioni di Wang lo sport non è mai citato. Dopotutto lui fa l’imprenditore, mica il filantropo? Lo stesso ragionamento lo aveva fatto il proprietario della Guangzhou Evergrande, altra grande società immobiliare cinese, proprietaria della squadra che fino a poco fa Marcello Lippi ha guidato ai vertici del calcio cinese e asiatico, ora sostituito da Fabio Cannavaro. Entertainment. L’idea romantica dello sport fatto da atleti che gareggiano per una pura supremazia fisica è ormai tramontata. Anche gli sport considerati un tempo “nobili” come il pugilato, l’atletica o il tennis non sono altro oggi che spettacoli. Per lavoro e passione seguo molto l’atletica: proprio la necessità dello spettacolo (e quindi la necessità di attrarre più spettatori e sponsor) spinse il buon Primo Nebiolo a ridurre da quattro a due gli anni di attesa per i mondiali, intervallati dai mondiali indoor. Per cui oggi c’è un mondiale ogni anno. La nascita delle Diamond League (nelle quali gareggiano per soldi i migliori atleti al mondo) e il mondiale (quest’anno sarà alla sua seconda edizione) di staffette alle Bahamas, sono proprio in questo solco. Entertainment. La riprova di questo ragionamento l’ho avuto poche settimane fa a Doha, in Qatar. Sono andato lì per i mondiali di Handball. Ebbene il Qatar (e quindi gli emiri, gli stessi che sono proprietari del PSG, di Harrod’s, della Costa Smeralda e di mezzo mondo) non solo ha costruito tre palazzetti avveniristici apposta per questo mondiale (alcuni anche di 15.000 spettatori); non solo ha speso una infinità in promozione e pubblicità; non solo ha pagato gente locale, operai ed altro per spingerli a vedere le partite di handball e tifare per le varie squadre; non solo ha pagato le federazioni delle squadre che partecipavano al mondiale perché portassero (pagando gli emiri trasporto, vitto, alloggio e ogni genere di gadget) tifosi a sostegno; ma ha anche comprato i giocatori. Già perché qualche anno fa gli emiri, a suon di dollari (gli stessi che hanno loro permesso di vedersi assegnati i mondiali di calcio del 2022 contro qualsiasi logica, anche a causa delle temperature elevatissime di quel paese) hanno fatto passare una regola nella federazione mondiale di Handball per la quale se un giocatore per tre anni non risponde alla chiamata della sua nazionale, può giocare per un’altra. E così la squadra di handball dell’emirato era composta per il 90% da stranieri. Ma non stranieri qualunque: tutti i grandi campioni, una sorta di squadra all stars. Risultato? Alla fine sono arrivati secondi (qualcuno dice che se avessero vinto sarebbe stata troppo lapalissiana la cosa), dopo che negli anni scorsi, ai mondiali passati, non avevano mai superato il sedicesimo posto. Dopotutto che tradizione sportiva ha il Qatar? Solo quella del falcone: tu sta lì nella tenda nel deserto a sorseggiare il the e il tuo falcone parte verso il tuo assistente che muove una canna con un uccello morto all’estremità. Il falcone che raggiunge la preda nel minor tempo vince. Da qui a vincere un mondiale di handball ce ne vuole. Ma loro hanno capito bene che lo sport è entertainment, e avendo i soldi per costruire gli impianti, arrivano ricchezza, lavoro, si sviluppa un movimento sportivo che altrimenti non ci sarebbe stato. Il presente e il futuro dello sport sono nelle mani dei ricchi. Fatevene una ragione.