Siamo tutti Leicester
di Giuliano Compagno
Nemmeno trecentomila abitanti, un punto nel cuore dell’isola che è come un centro sperduto. Eppure c’è tanto passato dietro Leicester, dapprima fortificazione dei britanni, poi città romana, e ancora sede vescovile, possedimento danese, fino a ottenere il riconoscimento di ‘City’ nel 1919. In questa città, la decima d’Inghilterra, i cronisti sportivi vanno dicendo che è stata ‘scritta la storia‘. Un’iperbole illeggibile, sciocca come altre mai. A commentare un evento che non ha equivalenti, non già nella storia del mondo, bensì, più prosaicamente, in tutta la storia del calcio mondiale: il Leicester Football Club si è laureato campione di Inghilterra, una notizia che a inizio stagione sarebbe stata credibile per un lettore su cinquemila, tale era la quotazione delle cosiddette Foxes. Non giocabili, insomma. Per rendere un’idea della pazzesca entità dell’evento, basti dire che la squadra era stata promossa in ‘Premiere League‘ appena due anni fa e che l’anno scorso si era salvata da un’altra retrocessione per il rotto della cuffia. Da sottolineare, se non bastasse, che il loro massimo campionato conta formazioni del livello di Manchester City e United, di Liverpool e Arsenal, di Chelsea e Tottenham. Milioni di sterline come se piovessero, società di infinita ricchezza, fatturati cento volte superiori a quelli di una squadretta alla periferia dell’impero. E poi i calciatori: nessuna star, qualche dopolavorista, molti campioni in vista di un futuro tutto da inventare… Per non parlare dell’allenatore… Quel Claudio Ranieri, italiano, che non ha frequentazioni nei salotti buoni del calcio internazionale, non è un vip, non si dà arie da guru o da ‘Special One’, non gli si deve certo garantire una rosa di trenta fenomeni super-pagati, non lo si considera un vincente, e così via. Perché Ranieri segue una sua morale privata, e la sua origine è quella di una famiglia semplice, per cui vivere di calcio sarebbe già un privilegio. E la sua carriera racconta di un giocatore medio, la cui saggezza porta con sé in panchina, per anni in cui fa il ‘trotter d’Europa’, mai vincendo titoli da nove colonne, tranne quest’ultimo, che oggi riempie le prime pagine di tutti i quotidiani e di tutti i siti del mondo. Perché dimostra quanto valore abbia il realizzarsi di una eccezione, di un fatto straordinario, in un mondo in cui la falsa impresa si compie soprattutto scalando montagne di denaro. Altrimenti non vinci quasi mai. A meno che non coincidano troppe circostanze: la forza, l’ostinazione, la volontà, la fortuna, l’umiltà, il desiderio di giocare e di vincere pulito… Si va commentando che un Leicester d’Italia non potrà mai alzare un trofeo; temo sia vero, ormai. Il nostro calcio appare come un teatrino polveroso, sul cui palco non vi è spazio per nessuna follia d’autore. Invece lo sport diventa bellissimo quando il piccolo arriva in cima prima degli altri, e da lassù guarda per un’intera giornata quanto sia bello il paesaggio, almeno per una volta nella vita. L’anno prossimo il Leicester non si ripeterà. Questo suo titolo rimarrà la smagliante conquista di un’annata irripetibile, le cui immagini vedremo e rivedremo all’infinito, per pensare a qualcosa di assurdo, mentre tutto va noiosamente per il verso giusto, che poi è quello sbagliato, dei potenti, degli arroganti, di quelli che non si chiamano Claudio Ranieri.
fonte www.lindro.it