#SarriMancini: caro Mancio, ti offendi anche se ti dico “paraculo”?
di Domenico Zaccaria
Sarri ha sbagliato: dire “frocio”, “negro” o “ebreo” in tono dispregiativo è un errore, ancor più grave se commesso da un allenatore di una squadra di Serie A. Sarri ha sbagliato e sarà giustamente punito: dal giudice sportivo e (ci auguriamo) anche dalla società. Ma i cori di indignazione dei moralizzatori del giorno dopo sono persino più fastidiosi di quanto avvenuto sul prato del San Paolo: perché sono frutto di un qualcosa di montato ad arte dal buon Roberto Mancini, ben consapevole della risonanza mediatica che avrebbero avuto le sue parole davanti alle telecamere della Rai. Sì, lo stesso Mancini che, da giocatore, aveva descritto come “cose di campo che dovrebbero finire lì” le offese razziste di Mihajlovic e Vieira; lo stesso Mancini che, da allenatore, aveva definito “solo uno sfottò” gli striscioni razzisti della curva dell’Inter contro i napoletani.
Ieri sera, il buon Mancio ha indossato i panni del ragazzotto sconvolto che per la prima volta in vita sua ha sentito certe parole sui campi di calcio: gli stessi che lui frequenta da più di 40 anni. Talmente sconvolto da non avere la forza di commentare la vittoria della sua Inter: una bella recita, insomma, altro che “coraggiosa presa di posizione per rompere il muro di omertà che regna nel mondo del calcio”, come ha commentato qualcuno. “Quel che accade in campo dovrebbe restare in campo” è una regola non scritta che esiste non solo nel mondo del calcio, ma in tutti gli sport che prevedono il contatto fisico: e se è giusto denunciare un allenatore che incita i suoi giocatori a spaccare le gambe agli avversari, è decisamente da paraculi andare a piangere davanti alle telecamere (peraltro dopo aver ricevuto delle scuse a quattr’occhi) per un insulto ricevuto in piena trance agonistica, soprattutto se hai alle spalle un passato non proprio da “verginello”, quanto piuttosto da uomo di campo.
“Ho fatto il bordocampista per una vita e se tutti facessero come Mancini ci sarebbero dieci squalificati a partita”, ha commentato Enrico Varriale, uno dei pochi giornalisti Rai che non ha colto l’occasione di unirsi al coro dei moralizzatori del giorno dopo. Un coro che ha visto in prima linea, guarda caso, Tuttosport, la testata di riferimento dell’immediata inseguitrice degli azzurri in campionato: “Siamo tutti Mancini”, titola oggi a caratteri cubitali il quotidiano sportivo torinese. Vi ricordate un “Siamo tutti Napoletani” dopo gli ignobili striscioni razzisti dello Juventus Stadium? No? Nemmeno io.