Non critichiamo, ma ricominciamo. A tifare, a sostenere il nostro Napoli

Sciolto l'equivoco tanto caro a Conte, quello che vuole un Napoli da scudetto, ora non una parola contro Benitez e i ragazzi. Tifiamo con quanto fiato abbiamo in gola
  • di Boris Sollazzo

    L'avevo detto. Potrei dirlo. Sono mesi che dico, in trasmissioni radiofoniche e televisive, che questo Napoli sarebbe arrivato quarto o quinto, togliendosi soddisfazioni. Per i troppi cambi durante il calciomercato, necessari ma duri da digerire; per l'esigenza inevitabile di metabolizzare un gioco e una filosofia completamente diverse, per una rosa che è più ricca dell'anno scorso ma che ha mantenuto il difetto congenito del Napoli di De Laurentiis, da sempre. Quello della mancanza di un blocco centrale di livello. Già perché i due centrali di difesa, come i due di centrocampo, il cuore e il motore di una squadra, non sono da vertice. Ai tempi della prima Champions targata Mazzarri ci andò bene perché Cannavaro e Grava sembravano il fratello Fabio e Nesta, e perché Gargano e Pazienza fecero un campionato che, rivedendolo ora, persino loro stenterebbero a riconoscere. Vale, in fondo, anche per la stagione della vittoria della Coppa Italia: arriva un Inler discontinuo, Campagnaro fa miracoli, i tre tenori in contropiede spesso fanno dimenticare, insieme alla difesa a tre, le lacune (visibilissime, comunque, in campionato). La seconda Champions è ancora figlia di un super Hugo, di un Goekhan più maturo, di un Cannavaro lucido (e da recuperare, ora) e di un Behrami in stato di grazia.

    Ma ora c'è Britos dietro e un Inler di nuovo involuto. Raul Albiol è il miglior centrale dai tempi di Fabio Cannavaro, ma Miguel Angel, a naso, non vale Giubilato, Fernandez Maldonado e Uvini Romito. Al di là delle battute, non c'è chi manovra lì nella mediana, in un sistema di gioco che peraltro non è quello frenetico e atletico di Mazzarri, ma tecnico e ipnotico di Rafa. Per intenderci in quel quadrilatero magico la Roma ha Benatia e Castan in forma Champions e De Rossi e Strootman, la Juventus Chiellini e Barzagli e Vidal e Pogba. Altra camminata.

    Potrei dire "ve l'avevo detto". E invece no, rivendico di aver sostenuto che come Rafa e i nostri ragazzi non c'è nessuno. Perché è così. Non rimpiangiamo nessuno, se siete vedove di Mazzarri o Cavani, non continuate a leggere. Diciassette partite e quattro sconfitte, dite voi, per lanciare un campanello d'allarme? Io no, dico diciassette partite (e poi dici che perdi, maledetto 17) e dodici vittorie. Dico 37 punti tra campionato e coppa, il che vuol dire ben più di due punti di media a partita. Siamo terzi, dopo due sconfitte consecutive. Da soli. E checché ne dica Antonio Conte, che sembra dimenticare i milioni di euro spesi per la sua Juventus in tre anni (e quelli buttati per il depauperamento del patrimonio tecnico passato, che ha fatto fuori senza complimenti), la nostra campagna acquisti, il nostro valore tecnico non ci obbligano a essere più su di così. Anzi. Siamo più vicini a Inter e Fiorentina (che in mezzo al campo son messi meglio), che a Juventus e Roma. E allora combattiamo, cazzo. Prendiamo esempio dalle curve del San Paolo, che contro il Parma hanno cantato prima, durante e pure dopo la sconfitta con i ducali. Come non era avvenuto, forse, nelle ultime settimane.

    Il bello delle sconfitte impreviste come quelle contro il Parma è che da partite così brutte da essere vere si impara, se il risultato è traumatico. Nessuno dice, ad esempio, che Napoli-Livorno la giocammo anche peggio, ma segnammo presto e dilagammo tardi. E tutti, allora, ci stringemmo tra le spalle, tranquillizzati da un tabellino bugiardo. Poi s'è cominciato a segnare poco: nessun gol contro Roma e Juventus, due rigori contro il Torino, due contropiedi fulminanti a Firenze, due buone soluzioni tecniche (aiutate da errori difensivi) contro il Catania. Altra partita giocata in eccessiva sofferenza: ma anche lì, tutti zitti, c'erano i tre punti. C'è da registrare un modulo difficile da rendere completamente efficace in momenti di appannamento di forma, soprattutto con alcuni giocatori chiave in difficoltà.

    C'è di buono, ad esempio, che con il Parma sono usciti fuori subito gli occasionali, chi critica e si demoralizza con la stessa facilità con cui si entusiasma e sopravvaluta. Noi non siamo così. Non lo è il nostro stadio, che con Marsiglia e Catania, forse troppo sicuro degli azzurri, non aveva dato il massimo. Noi, come loro, non dobbiamo mollare. Dobbiamo vincere.
    Quel Napoli lo dobbiamo portare a segnare al 90imo e dintorni, con le nostre urla, a difendere meglio, anche con la sola cattiveria e con l'istinto, fischiando l'avversario e sostenendo i nostri difensori. Dobbiamo tornare ad aggredire l'area con rabbia, a creare occsasioni da rete in maniera compulsiva. Ma dipende anche e soprattutto da noi. Non critichiamo Higuain, 8 gol finora. Non Callejòn e Hamsik, già una dozzina in due. Non Pepe Reina, che con il suo tweet "non ci siamo fermati" si è dimostrato un tifoso vero della sua squadra. Questi ragazzi, finora, stanno facendo grandi cose: solo lo 0-1 contro il Parma grida vendetta, perdere contro Roma, Juventus e soprattutto Arsenal ci sta, anche se fa male. Non leggiamo la Gazzetta dello Sport che urla in prima pagina "Napoli da scudetto" con la stessa buona fede con cui dice "Hamsik al Milan" o "Zuniga alla Juventus". Per mettere pressione e tensione in un ambiente caldo che deve fare il definitivo salto di qualità. Urliamo e tifiamo per chi, ora, può ancora fare l'impresa. Napoli-Parma è un punto di boa. Può aprire una crisi, è vero: abbiamo Dortumnd e Lazio in pochi giorni, risultati negativi potrebbero portare a un calo di fiducia drammatico e spingerebbero Benitez verso una situazione simile a quella che visse nell'Inter. Ma noi siamo migliori di loro, e allora prendiamo per mano questa squadra nel suo primo momento di difficoltà, come lei ha fatto con noi in questi tre mesi così esaltanti. 
    Stanno onorando la maglia, e lo sappiamo. Sapranno riprendersi e sapranno mostrare la grinta che forse ora manca nei minuti finali, perché siamo troppo abituati a portarci avanti entro la prima metà del primo tempo.

    Crediamo in loro, perché siamo sull'orlo di una crisi, ma, come sempre succede nei momenti negativi, siamo anche a un passo da un ciclo straordinario che potrebbe portarci a vincerle tutte fino a Natale. Gli azzurri sono in grado di farlo, possono e devono crederci. Dobbiamo farlo noi. Non siamo romanisti, che dopo due pareggi vedono tutto nero. Non juventini, il cui allenatore ha bisogno di punzecchiare il maestro Benitez anche dopo una vittoria. Non l'Inter del Mazzarri che ancora pensa a noi e continua a lamentarsi della sfrotuna, non la Fiorentina che ancora si lamenta della nostra vittoria viziata da un grave errore. Non versiamo lacrime sui fuorigioco non fischiati, sui rigori generosi, sulle occasioni sprecate e sugli eurogol subiti. Impariamo da quelle curve che contro il Parma hanno ritrovato la verve assopita nel nostro momento migliore. Rimbocchiamoci le maniche, crediamoci, combattiamo. Siamo il dodicesimo uomo in campo. Contro il Manchester City o contro il Borussia Dortmund senza di noi avrebbero vinto i ragazzi? Dubito.

    Tocca a noi. Noi non serviamo quando si vince, lo stadio si riempie comunque di chi vuole raccogliere gloria e salire sul carro. Noi quel carro lo spingiamo quando la benzina è poca, l'autista è stanco, il motore è inceppato.

    Al di là del risultato. Anche perché il meglio deve ancora venire. E non vedo l'ora di dirvi "ve l'avevo detto". Perché quando sorrideremo, vi avverto, lo farò.

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