Nessuno è indispensabile, tutti sono necessari

Perché contro il Catania esordirà in campionato Uvini. E perché Insigne diventerà un campione
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    di Boris Sollazzo

    Titolarissimi. Tutti e undici. Finali. Tutte e 38 più 6, a meno che non fossero di Europa League, che chissà perché a noi faceva schifo. E dire che Vincenzino Montella senza grossi sforzi è a punteggio pieno nel suo girone con una squadra simile alla nostra dell'anno scorso. Così, per dire. Questa era la nostra vita con Mazzarri, che continuo a considerare uno degli allenatori migliori che abbiamo mai avuto (e il quarto posto, ora, con un'Inter non eccelsa lo dimostra). Uno stress infinito per noi tifosi, figuriamoci per i giocatori. Che a un certo punto, ovviamente, non ci credevano. Il Plzen finisci per sottovalutarlo proprio perché nel tuo inconscio dici “vabbuò, tanto per il mister è  una finale pure l'amichevole contro l'Aversa Normanna”. Rafa ci sta cambiando la testa. E quanto è bello. Che bello sapere che come un tempo, i titolari insostituibili sono pochi. A occhio Reina, Raul Albiol, Behrami e Higuain. Non mettiamo Hamsik, il più forte del gruppo, solo perché abbiamo altri quattro trequartisti che magari non ne replicano il talento, ma possono equipararne l'efficacia (soprattutto in queste settimane di scarsa vena). Nel suo ruolo, insomma, ce ne son tanti. E che bello scoprire che magari senza Valon e Gonzalo riesci pure a vincere (vedi il Torino per il primo e il Livorno per il secondo). Ed è magnifico scoprire che non sono tutte finali, perché persino nel campionato in cui giallorossi sono a punteggio pieno da nove partite, tu puoi perdere o pareggiare. Perché il cavallo il muso lo deve tenere davanti all'ultimo. Vedere che a volte entra Bariti per sei minuti, quasi sempre i tuoi giocatori più forti rifiatano per un pezzo di partita, che puoi contare su Mesto persino a sinistra (sì, con la Roma ha fatto una partita dignitosa, al limite dell'eroismo). E che Zapata segna l'eurogol a Marsiglia. In Champions.

    Sembra il Napoli di Maradona in cui segnava pure Ciro Muro, il Milan di Sacchi in cui la buttava dentro persino Mannari, la Juventus che fa entrare Caceres e gonfia la rete. La nostra peraltro. Ma attenzione, questi non sono fenomeni. Credo, per esempio, che il buon Sosa (non il Pampa, quello che abbiamo comprato dal Bayern Monaco e abbiamo dato al Metalist) avesse mezzi ottimi. Fece un gol, un paio d'assist. E giocava pochissimo. Insomma il mago Walter non aveva solo le cosiddette “pippe”. Mi viene la pelle d'oca a dirlo, ma Fernandez e Vargas sono nazionali di paesi calcisticamente più che validi e oltre oceano fanno vedere buone cose. Come succedeva a Jesus Datolo, ricordate? Lui, peraltro, una grande partita la fece anche in azzurro: Juventus-Napoli 2-3-Insomma, io credo che i suoi Mertens, i suoi Zapata, i suoi Mesto ce li avesse anche il toscanaccio. Ma li deprimeva, li reprimeva, li portava a un rilassamento psichico letale, li emarginava costantemente. Ora io il sospetto che Calaiò abbia più fiuto del gol di Zapata ce l'ho. Ma il primo, nella seconda avventura azzurra, non l'ha messa dentro neanche per sbaglio.

    Insomma per Rafa nessuno è indispensabile, ma tutti sono necessari. Se l'attuale coach nerazzurro faceva dei suoi pretoriani il proprio motore, sacrificando tutti gli altri (penso ai casi eclatanti come Cigarini, ma in qualche modo anche a Dzemaili, che pure è sempre stato il suo dodicesimo) sull'altare di un patto di sangue con i “titolarissimi”, Benitez coinvolge tutti. Con la psicologia, che all'altro mancava - “non lo conosco”, “è un'idea della società” i suoi tormentoni -, ma anche con scommesse niente male. Duvàn come prima riserva in una partita decisiva per la coppa dalle grandi orecchie: alzi la mano chi non ha maledetto il madrileno in quel momento. Ecco, bravi, solo io ce l'ho alzata. Mertens titolare a Marsiglia: io un po' di paura, confesso, ce l'avevo, anche se con il Livorno era stato eccellente. E poi fino ad allora non era l'oggetto misterioso di un'ottima campagna acquisti?

    Ecco perché contro il Catania giocherà Uvini. Rafa se lo sta coccolando, quando gli parlano di Cannavaro – di sicuro quello meno nelle sue grazie, e nonostante questo ha giocato varie partite -, lui cita anche quel brasiliano che abbiamo provato a dare a chiunque con la cosiddetta “offerta Donadel”. Ovvero: se ve lo prendete, vi paghiamo anche l'ingaggio di un altro calciatore. Bruno finora lo conosciamo per le foto su twitter (sta sempre in vacanza, l'ultima volta a Venezia) e per l'ottimo lavoro di interprete svolto in ritiro. Questo genio di spagnolo che teniamo in panchina l'ha già fatto tornare un calciatore, almeno a parole. Ecco perché non mi stupirei se in coppa Italia magari esordisse Tutino. Titolare. Perché Rafa non ha paura. Se Mazzarri era un condottiero, che per vincere mieteva vittime anche tra le proprie fila, lui invece è un maestro di calcio, di vita, di cultura dello sport. Nessuno rimane indietro con lui. Anche se vuol dire perdere due punti con il Sassuolo. Al momento giusto quei due punti li recupererai: proprio con uno di loro. I dimenticati. Le riservissime, che hanno messo chilometri, mentalità, tattica nelle loro gambe e nel loro cervello. Che si sentiranno davvero parte della squadra e quella maglietta la onoreranno. Domenico Zaccaria proprio qui ricordava l'ex allenatore del Liverpool avvicinarsi a Dries Mertens, a Genova, a fine partita. Gli occhi bassi e tristi il belga, la mano affettuosa a consolarlo l'iberico, a farlo sentire al centro del progetto e non della panchina. La voce a dirgli “verrà il tuo momento”. La stessa voce che quest'estate definiva senza sosta Insigne un campione, che è stata determinante per la più che probabile convocazione di Lorenzinho a Brasile 2014, la stessa mente che ha deciso contro il Torino di non sostituirlo, sperando di vederlo segnare e sbloccarsi in campionato. E ora che al Franchi non giocherà, non potrà maledire nessuno il piccolo fenomeno, ma dovrà solo lavorare e migliorare, come il collega con il numero 14. Non viene messo in panchina perché giovane e inesperto, per un pregiudizio, ma per una scelta tecnica. E questo, vedrete, gli farà fare il salto di qualità. Non lascia nulla al caso, quest'uomo paffuto che per ispirarsi va agli scavi di Pompei e alla Reggia di Caserta,  non vuole vincere per sé, ma per tutti. Per i suoi giocatori, per il ds, per il presidente e anche e soprattutto per quel popolo che già lo ama così tanto. Non vuole qualche risultato, un trionfo estemporaneo. No, lui come a Valencia e a Liverpool, vuole fare la Storia.

    Quest'anno lo scudetto lo vincerà la Roma. Roma che dovrebbe inginocchiarsi tutta e venerare Rudi Garcia come Vettel ha fatto con la sua Red Bull. E se dovesse inspiegabilmente crollare (tutto sta nel vedere se si infortunerà anche uno solo del triangolo delle Bermuda in cui scompaiono gli attaccanti avversari: Benatia, Strootman e De Rossi), allora ci sarà la Juventus. Che pure lei dovrebbe fare come Vettel, ma verso tutta la classe arbitrale.  Ma noi ci divertiremo. Vivremo l'emozione di diventare una grande squadra, una società internazionale, un progetto vero. Perché laddove le squadre che abbiamo citato stanno invecchiando come età media e vivranno problemi contrattuali forti con i propri assi (da Pjanic a Pogba, la prossima estate sarà caldissima, per non parlare dell'Inter di Tohrir che deve sostituire un'ossatura di ultratrentenni o del Milan in crisi nera), noi, come forse solo la Fiorentina, stiamo costruendo il futuro.

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