Mazzarri o Benitez? Il dilemma di un interista
di Luca Ianni
Inter-Napoli del 19 ottobre, ovvero “del dilemma di chi insultare per primo” per una buona metà dei tifosi della Beneamata.
Eh si, la partita di domenica sera diventa veramente un’occasione ghiottissima per i tanti che non hanno mai sopportato il buon vecchio Rafa e chi ha sempre guardato a Mazzarri con diffidenza.
Entrambi vittime del dopo Mou, Rafa viene ricordato per la presunzione con cui, appena arrivato, aveva fatto togliere dagli armadietti dei giocatori foto e ritagli dell’epopea dell’uomo di Setùbal, alienandosi in un nanosecondo le possibile simpatie di una squadra che aveva vinto solamente una quindicina di trofei nei sei anni precedenti (in parte grazie all’indimenticato Roberto Mancini).
Ma il tifoso non vuole scuse, è tutta passione. Poco importa, al di la dei limiti caratteriali dello spagnolo, che fosse costretto a giocare con Biraghi e il povero Natalino, avesse una squadra parzialmente decotta fisicamente in alcuni dei suoi uomini migliori e la Società iniziasse quel periodo non di ridimensionamento ma di smobilitazione che poi si è concluso con la vendita della stessa all’enigmatico magnate indonesiano Erick Thohir.
Almeno allora ci si lamentava dopo l’indigestione.
Oggi parliamo di carestia.
La depressione che avvolge l’ambiente nerazzurro sembra non avere fine; una squadra spompa, che corre molto ma male, con zero idee, zero voglia, zero gioco.
Da dove prendere il bandolo della matassa ?
Se lo sapessimo, noi tifosi non faremmo gli impiegati o gli operai, ma saremmo al posto di Ausilio & co.
Certo possiamo fotografare, nei limiti della soggettività e della passione, lo stato imbarazzante di una squadra incredibilmente monocorde nel ritmo, nelle giocate, nell’affrontare le situazioni.
E qui, caro misteh (come ti ho sempre chiamato) non posso esimermi dal chiamarti in correo: ti ho sempre appoggiato, anche se ho sempre saputo che il tuo non è certo un gioco spumeggiante o innovativo.
Ma mi bastava; pensavo fossi un motivatore, uno che sapeva ricavare il meglio in senso caratteriale dalla squadra.
Ma così non è stato. Visi spenti, facce impaurite, nessun cambio di passo, nessuna variante.
Certo non è solo colpa tua; i somari non diventano cavalli, ma lo spaesamento della squadra (unito quest’anno all’aver anche sbagliato la preparazione atletica, vedi gli infortuni dell’ultima settimana) denuncia un deficit psicologico e anche tattico che va assolutamente colmato.
La sensazione però è quella di essersi infilati in un cul de sac, dove la massima soddisfazione che qualcuno potà prendersi sarà quella, come dicevo all’inizio, di suddividere equamente i novanta minuti tra gli insulti al buon Rafa ed al Misteh Walte.
Quando si scrive di queste cose si fa anche un bilancio personale; una specie di autoanalisi. E per quanto mi riguarda posso dire che inizio a solidarizzare con quelli che dicono “ridateci l’Inter”.
Il timore che questa nuova proprietà sia “impreparata” per le pastoie e i pantani del calcio malato del nostro paese, che abbia in mente un modello virtuoso di calcio che mal si sposa (ahinoi) con i pastrocchi domenicali che vediamo, è forte.
Anche chi come il sottoscritto ha ben visto il passaggio di consegne a livello proprietario e non ha mai amato un certo “interismo” borghese e umorale, non riesce a vedere nitidamente quello che potrà essere il futuro anche nel breve periodo.
“E se il Massimo avesse tirato il pacco all’ Indonesiano ?”
“Cosa vuoi dire, Ambreous ?”
“E se gli avesse venduto la Società in modo da fargli ripianare i debiti e dopo due anni di anonimato calcistico gliela ricomprasse sana a un tozzo di pane?”.
Alcuni miei amici morattiani mi hanno risposto dicendo che sognare è gratis.
Io non so che cosa succederà.
Ma rivoglio la mia Inter: pazza, incompleta, ma pur sempre Beneamata.