Juve-Napoli è stata un'umiliazione. Ma c'è un però. Anzi, ce ne sono tanti
di Alessio Capone
La partita di sabato è stata un'umiliazione, è innegabile.
Ci sono giocatori come Albiol, o anche come il mio adorato Pipita, che andrebbero presi a sberle e poi venduti al miglior offerente senza rimpianti. Perché se il Napoli ti sta stretto e non merita il tuo impegno, beh, allora non hai capito niente della squadra in cui giochi. E mi duole tantissimo ammetterlo, ma in una cosa, solo una, Benitez ha peccato: la gestione del suo addio. In questo, il suo predecessore, quel Mazzarri che poco ho amato, è stato migliore tenendo in pugno lo spogliatoio fino all'ultima giornata. Certo, andrebbero fatti dei distinguo: gli uomini da gestire di uno e dell'altro, con ambizioni quasi antitetiche, ad esempio; oppure le aspettative e le richieste di una piazza totalmente stravolte nel giro di due anni, proprio dall'arrivo del tecnico spagnolo "vittima" del suo curriculum.
Ma ci sono cose che sono state ancor più umilianti, per me. Quella bordata di fischi preventiva nella gara di andata col Bilbao, a soli quarantacinque minuti dall'inizio della stagione (non mi stancherò mai di ripeterlo): una ferita, uno strappo. I primi a non capire niente della squadra per cui tifano sono stati i tifosi, appunto. E poi quell'ostracismo, quella battaglia quasi ideologica volta a destabilizzare lo spogliatoio e a ridicolizzare il lavoro di un tecnico che nel suo primo anno tutto aveva fatto, tranne che male. Già, ostracismo: dal vocabolario Treccani, in senso fig., il comportamento con cui, nell’ambito di un gruppo sociale o politico omogeneo, le persone che esercitano il potere o dispongono di particolare influenza escludono o emarginano, spesso facendo leva su forme di coazione sociale, un loro avversario o, anche, chiunque abbia violato le regole del gruppo stesso. E Benitez le ha violate quelle regole. Si è permesso di dire che i napoletani sbagliano a ritenersi speciali, che Napoli non è speciale: Napoli è normale. E d'altra parte di quella serata in piazza Bellini, tra una vodka lemon, tavolini all'aperto e chiacchiere spensierate, io stesso conservo uno straordinario quanto sconcertante senso di normalità. Una serata come tante altre: come fosse Milano, Torino, Londra o Barcellona. I pregiudizi e le paure riguardanti una città, dalle quali è impossibile sottrarsi se nasci e cresci al nord, sono stati sconfessati da uno straordinario senso di normalità.
Benitez è stato l'unico, dopo Diego, in modi diversi, a schierarsi apertamente a favore di una cultura e di un popolo, a costo di inimicarsi il resto dell'opinione pubblica, come del resto è avvenuto salvo rare eccezioni. La battaglia mediatica di emittenti come Sky è stata emblematica in tal senso. Benitez ha rotto gli schemi dei luoghi comuni: Napoli è normale, può vincere e non è la piccola simpatica. Il napoletano non puzza, non è speciale, non ruba e, allo stesso tempo, Napoli non è necessariamente la città più bella del mondo. Un uomo onesto che ha sposato in toto una causa, ma che si è ritrovato da solo. In altri lidi, e in diversi momenti, pubblico, società e opinione pubblica hanno fatto scudo e hanno sostenuto allenatori e giocatori invischiati e squalificati per il calcio scommesse, oppure hanno fatto massa per rivendicare titoli frutto di attività dirigenziali losche.
A Napoli nulla di tutto ciò. L'opinione pubblica locale ha avallato la battaglia di quella nazionale infastidita da questo presuntuoso che si è permesso di uscire dagli schemi. Di dire quello che pensava e che, in fondo, pensiamo tutti. Basta digitare Marotta - Juve - sudditanza su Google. Apriti cielo. Ma nessuno l'ha seguito. Solo. Oddio, lo stadio di questa stagione, in realtà, gli ha dato ragione. Uno stadio normale, nulla di che. Uno stadio che rimane vuoto se le cose non vanno in una certa maniera. Nulla di speciale. Anche il luogo comune del grande stadio, del grande pubblico, del dodicesimo uomo in campo è stato sfatato. Quindi Benitez proprio solo non lo è stato in questa "battaglia".
Il tifoso adda sfugà e o sarà scudetto o sarà un anno maledetto. La nostra stagione si è consumata così, una lunga e agognante lagna volgare. Il timore è quello di aver perduto una vera occasione di crescita. Raccogliamo l'eredità di una rosa abituata a giocare in tutte le competizioni, una rosa che ha vinto una coppa Italia e la sua seconda supercoppa italiana, quella coppetta che alla Juve del duplete ancora brucia, nonostante sia una coppetta. Una rosa che è arrivata alla terza semifinale europea della sua storia. Raccogliamo l'eredità di una stagione deludente, ma non necessariamente vana. Perché la delusione è conseguenza di una grande occasione. E io spero di giocarmene altre di grandi occasioni. Spero di ritrovarmi nuovamente deluso, tra dieci anni, per una stagione simile. Ma soprattutto raccogliamo l'eredità di slogan volgari e di un malcontento generale francamente inspiegabili e che non possono essere tollerati. Perché se dovessimo tollerare tutto questo, poi i nostri figli sarebbero i prossimi. E francamente questo non lo tollero.
Per un tifoso del Napoli una stagione con una supercoppa italiana contro la Juve dev'essere motivo di gioia. Altrimenti i nostri figli saranno i prossimi volgari a fischiare per un passaggio sbagliato e ad esultare per un gol avversario. E io questo non lo tollero.