Cinque domande a Benitez dopo Torino-Napoli
di Domenico Zaccaria
Abbiamo vinto e questo è l’aspetto più importante. Ma non è l’unica cosa che conta: Torino-Napoli ha dimostrato ancora una volta che non tutto sta andando per il verso giusto. E allora è doveroso evidenziare alcuni elementi che lasciano perplessi. Anche perché non sempre Callejon (Roma) e Higuain (Torino) riusciranno a togliere le castagne dal fuoco negli ultimi minuti di partite che meritavano più di perdere che di vincere. La stagione è ancora lunga e andando avanti così il rischio concreto è che le castagne si brucino.
1) Con quella di Torino siamo alla settima partita consecutiva assai poco convincente. Dal Sassuolo in poi sembra essersi spenta la luce. Eppure, Roma a parte, il Napoli non ha affrontato avversari irresistibili. Chi ancora recrimina per i pareggi (meritati) contro Genoa e Livorno, ripensi alla doppia sfida contro lo Swansea, a quella di Oporto, alla gara di ieri a Torino e a quella contro i giallorossi al San Paolo. Il bilancio è di tre vittorie e quattro pareggi ma la realtà dice che con un pizzico di fortuna in meno sarebbe potuta andare decisamente peggio. Le ultime due di campionato non meritavamo di vincerle, lo Swansea ha giocato meglio di noi nel doppio confronto europeo e si poteva tornare a casa con un passivo più pesante anche dal Portogallo.
2) I primi tempi regalati agli avversari stanno diventando una pericolosa abitudine. Zero tiri in porta contro Roma, Porto e Torino. Grave, anzi gravissimo se si pensa al potenziale offensivo sul quale può contare Benitez. E al quale l’allenatore spagnolo non intende rinunciare mai, almeno dal punto di vista numerico.
3) Appunto: ma questa squadra è in grado di reggere i quattro attaccanti schierati contemporaneamente in campo? Ce lo chiediamo da inizio stagione ma l’allenatore, coerentemente, tira dritto per la sua strada. Un elemento però va evidenziato: fino a un paio di mesi fa, con quella batteria di rifinitori dietro a Higuain, il Napoli faceva paura agli avversari non appena superava la metà campo. E ciò in qualche modo giustificava i rischi di troppo che si correvano in difesa. Si giocava, insomma, per fare sempre un gol in più della squadra che si aveva di fronte, senza badare se fosse il Borussia Dortumund o il Chievo: una rivoluzione copernicana rispetto all’oculata gestione di Mazzarri che aveva strappato consensi quasi unanimi. Da un paio di mesi a questa parte, invece, in fase offensiva gli azzurri soffrono maledettamente ma al contempo continuano a prendersi enormi rischi dietro. Non ingannino i soli quattro gol subiti nelle ultime sette partite: a Swansea Rafael prima e Reina poi hanno fatto miracoli, il portiere spagnolo si è ripetuto contro la Roma e il Porto (che ha preso anche un palo), mentre il Torino ieri è stato fermato dalla sfortuna (due legni) e dall’imprecisione dei suoi attaccanti. In sostanza davanti non tiriamo più ma dietro basta un’accelerazione o un passaggio filtrante per mettere gli avversari davanti alla nostra porta.
4) Ed ecco, quindi, tornare la solita domanda: può una squadra dalla rosa non lunghissima e impegnata su tre fronti reggere un modulo dispendioso come il 4-2-3-1 per un’intera stagione? Benitez ci crede, e magari ha ragione lui. Ma il Napoli è l’unica squadra in Italia a non contare su un affidabile modulo alternativo sul quale ripiegare in caso di infortuni o emergenze di vario tipo. Con questo schieramento siamo nati e con questo trionferemo. O andremo a sbattere. Speriamo che l’intransigenza alla fine paghi.
5) Ieri dal 75esimo minuto Jorginho, 23 primavere e reduce da 2 partite a riposo, vagava per il campo come Dorando Pietri alle Olimpiadi di Londra. Possibile? Sì, perché chi a questa squadra dovrebbe dare il fosforo è stato costretto a rincorrere gli avversari come se fosse un Montervino qualsiasi. Callejon e Mertens fanno sempre più i terzini e sempre meno gli esterni offensivi, Higuain si sbraccia chiedendo un aiuto nel pressing offensivo che non arriva mai, Hamsik fatica a inserirsi quando il Pipita sale a prendersi la palla spalle alla porta. Insomma, l’impressione è che i meccanismi si siano inceppati. Colpa degli interpreti o di un modulo che finisce per farli giocare fuori posizione? Parlare di semplice “fase di appannamento” vuol dire mettere la testa sotto la sabbia…