Bassolino, De Magistris, Il Napoli: incontro (allo stadio) con Gennaro Migliore
di Boris Sollazzo per giornalettismo.com
Domenica, ora di pranzo. Finisce il discorso di Matteo Renzi alla Leopolda. Si corre a Santa Maria Novella. Confessiamo subito: non c’era nessuna seduta straordinaria di una commissione parlamentare a Roma, né un convegno imperdibile vicino Firenze. No, con Gennaro Migliore abbiamo deciso di seguire Napoli-Roma e il premier ha rischiato di farcela perdere. Il deputato del Pd, commissario democratico del VI municipio nella Capitale (Tor Bella Monaca e Ponte di Nona, per dire un paio dei centri nevralgici di quella zona) – “un territorio grande quanto Napoli” – e ora nella segreteria Pd della sua città, era la persona giusta. Lui, che era allo stadio il giorno in cui fu colpito a morte Ciro Esposito. “Roma e Napoli sono due città che dovrebbero essere alleate, e invece si fanno la guerra. Dovrebbero crescere insieme, come fanno Torino e Milano, il vero porto della Capitale non dovrebbe essere Civitavecchia, ma Napoli“. Tifosi degli azzurri entrambi, viaggiamo con Renato Giallombardo, romanista. Avvocato impegnato in progetti sociali e politici (uno di questi è il neonato Capitale X Roma, “un acceleratore di idee, progetti, percorsi di fattibilità, motivi per continuare a credere in Roma”) è uno dei tanti incontri interessanti di un viaggio particolarissimo. Si parla di Roma, Napoli, Leopolda. Una triangolazione strana, anche per ingannare l’unico momento importante della giornata, il big match delle 18. “La Leopolda è un laboratorio, è necessaria” risponde al grande scetticismo del sottoscritto sull’ultima edizione. E poi è ancora troppo fresco il monologo del premier per non parlarne. Aggressivo e sulla difensiva è sembrato il premier. Negli anni scorsi puntava sul faremo, ora sull’abbiamo fatto. “Ma c’è bisogno di tante Leopolde, basta vedere le presenze, soprattutto la quantità di persone in rappresentanza dei territori. Perché questo rimane un popolo e non una corrente, l’ho sperimentato nella mia città con la Fonderia delle Idee. Peccato che allora qualcuno ha pensato bene di “proporla” come corrente, invece di lasciarla libera. Era una piazza di discussione e di propulsione sociale e culturale per Napoli, non un centro di potere”. Uno spazio talmente diverso e interessante, che il buon De Luca cercò una risposta muscolare, con un intervento blitz, ravvisandovi un pericolo per sé e per i potentati che attanagliano tutta la Campania. “Dovevamo farne altre cinque, purtroppo non c’è stata la possibilità. Ma una realtà come quella, un think tank allargato e partecipato, è necessaria. Per questo mi interessa molto anche Volta, quello che Renzi ha dato a Giuliano Da Empoli per sviluppare un discorso tra Milano e Bruxelles. Mi interessano moltissimo i luoghi di riflessione ed elaborazione, dal particolare all’universale, dal locale all’Europa, partecipai anche a quello di D’Alema facendo anche abbonamenti sostenitori. Ho ricevuto solo due riviste della fondazione Italianieuropei e non sono stato più invitato ad alcun incontro, perché renziano. Ecco, questo non lo capisco francamente“. Non c’è da stupirsi: Migliore, piaccia o no, è uno che ha sempre fatto la scelta meno conveniente. Nel 2001, personalmente, ferito dentro e fuori da Genova 2001, lo odiai per non aver forzato la mano a Bertinotti e prendersi quello che una generazione pretendeva da lui, preferì al “golpe” un percorso leale e graduale. In un momento centrale della sua vita politica (e non solo) pagò, anche personalmente, una ricerca di crescita politica collettiva piuttosto che individuale. Poi con Vendola, nonostante la fine del rapporto politico, consumò la rottura solo dopo le elezioni europee, per non portar via voti e parlamentari nel momento più difficile. In cambio ha ottenuto solo calunnie. “Dopo un anno e mezzo hanno ancora la sindrome dell’abbandono, è assurdo: l’ossessione della sinistra per la ritorsione contro chi reputa un traditore è inquietante. Mi hanno fatto male le menzogne di molti ex compagni di partito in posizione dirigenziale, ma forse ancora più doloroso è stato il silenzio di altri. E’ la prima volta che ne parlo, ma non riesco a soffermarmi su queste cose, anche se dovrei. Il punto è che io riesco a guardare solo davanti a me, un mio amico dice sempre che un fisico non fa mai la stessa cosa due volte. E’ vero”. Il treno sta arrivando sotto il Vesuvio, quell’alta velocità che ormai è “una metropolitana: è grottesco che queste due città, Roma e Napoli siano più facilmente raggiungibili rispetto a quanto le stesse lo siano dalle rispettive periferie. Io da Trastevere ci metto più di un’ora per arrivare a Tor Bella Monaca, e solo perché prendo il Car2Go fino alla Metro C, che parte una volta ogni 12 minuti. Assurdo”. Al ritorno dallo stadio aspetteremo mezz’ora quella “metro partenopea che è invece diventata un treno regionale: giusto collegare diverse realtà messe per troppo tempo ai margini, ma non a scapito di una frequenza di passaggio necessaria a una grande città”. Non vogliamo prendere taxi, non vogliamo scorciatoie, rischiamo. Arriviamo allo stadio. A partita quasi iniziata. Girare con “Gennà” – lo chiamano tutti così – è più difficile del previsto. Dal tabaccaio della stazione fino a ex compagni dai tempi di Rifondazione con cui parlano dello scandalo Kuwait Petroleum Italia spa (Q8), accusato di illecito smaltimento dei rifiuti di raffineria e che ha portato al sequestro di 240 milioni di euro, dal controllore che gli rimprovera il vitalizio - “ma io, caro, non ce l’ho: ma se vuole saperlo, a 47 anni mi ritrovo con soli 9 anni di contributi e mia madre ha solo la pensione di reversibilità di mio padre, bigliettaio d’autobus (a Napoli, più che un lavoro, un martirio – ndr), mio fratello lavora in un call center e l’altro è operatore sociale nella zona della stazione Tiburtina, magari lo incontro quando scendo” – e gli chiede di fare qualcosa per un “lavoro usurante che potrebbe portarmi a 67 anni ad andare in pensione, con 49 anni di contributi, non succede in nessun altra parte del mondo“, fino al tassista che se ne esce con un “ma perché De Magistris fa il sindaco?“. Lui ascolta, non si nasconde – “ma entro il 31 dicembre il comune riuscirà ad agire per sbloccare il fondo per il rattoppo delle periferie pari a 500 milioni? E perché nella vicenda Q8 non si costituisce ancora parte civile?” – si fa domande e partecipa alla riflessione di chi lo ferma. Accettando il confronto, persino troppo forse. Allo stadio però si ferma e si gode l’emozione per l’unico asso nella manica che si è preparato per questo nostro incontro: Francesco Montervino, capitano di un Napoli che annegava tra B e C. Uno che rimase in quell’estate in cui gli azzurri scomparvero, che nei primi giorni dell’era De Laurentiis comprò i palloni per far allenare i compagni e che, si dice a Napoli, quest’anno poteva diventare il ds dei partenopei. Ora è a Taranto, i suoi hanno giocato e pareggiato (2-2, ma vincevano 0-2 fino a sette minuti dalla fine), e lui “è incazzato nero”. E pare di girare con Higuain. Tutti lo (ri)conoscono. E io, tifoso azzurro abbonato in quegli anni, sono emozionato come un bambino. “Fagli fare l’assessore allo sport” dico a Migliore, che incassa con un sorriso sornione. Non c’è uno che non gli abbia chiesto quando “ti decidi a fare il sindaco”. Lui sorride, chiede dei problemi della città, non dice di no. Quando glielo chiedo, mi indica il campo. La partita comincia. Lo stadio è pieno. Fa in tempo a dire “come si fa a ignorare un pezzo di società come questo? Che senso ha reprimere senza capire? I tifosi sono una forza sociale, una comunità che va coinvolta e non esclusa. questa città è piena di forze che non si sentono rappresentate, esclusi a cui dobbiamo dare ascolto e risposte, invece di parlare solo alle oligarchie”. Poi, 96 minuti di sofferenza. Prova a trattenersi, a chi gli propone la tribuna autorità risponde “no, grazie” e poi sorridendo aggiunge la battuta “non voglio essere inquadrato con De Magistris”. Hamsik ed El Kaddouri gli fan perdere il controllo. E sembra meno credibile quel “Boris, se non era per te e questa giornata insieme a parlare delle nostre città, andavo alla prima della Carmen”. Finisce. Parte l’odissea. Napoli, il suo stadio, Fuorigrotta, la metro, il tunnel per Mergellina in cui tutti vanno contromano nella corsia preferenziale. Un sorriso ironico su una faccia dolente: “è una città diabolica, quanto è bella” sussurra. Stiamo correndo verso la Stazione, c’è solo un Intercity. Alle 21.30. “Il treno dei pendolari”. Lo prendiamo al volo, grazie al passaggio di un vecchietto, che parla di politica anche lui, e a un tassista che sembra conoscere ogni vicolo della città. Ancora, come sempre, una città che punta sull’estro individuale, di qualsiasi tipo, per sopperire all’assenza di un’amministrazione decente. Migliore parla con tutti. A un certo punto persino di balli di gruppo, chissà perché. Sarà la curiosità tipica dei fisici. Prendiamo al volo il treno. “Quello dei pendolari. Di chi sta fuori martedì, mercoledì e giovedì, fughe di braccia e cervelli che fanno a Parma, Piacenza, Torino. E anche a Roma. Uno spostamento notturno che ti risparmia un pernottamento. Vorrei far sì che si svuotasse, che molti rimanessero a Napoli, e che questi vagoni vedessero la mia città anche come punto d’arrivo e non solo di partenza”. Inevitabile parlare della partita appena passata. Di come siamo passati per i giardini del San Paolo per correre alla metro. “E’ un pezzo di città, in tutto e per tutto. Ci sono dentro gli errori di Napoli, dalla ristrutturazione demenziale del 1990 a quegli spazi adiacenti, impossibili da percorrere la sera, pieni di tossicodipendenti e ridotti in condizioni terribili”. E poi Ciro, Ciro Esposito. “Ecco, un’altra vicenda esemplare. Lì c’è il peggio di Roma, una Capitale violenta e in cui l’odio, sociale e anche razziale, è cresciuto negli ultimi anni e in cui lo Stato ha brillato per la sua assenza: il prefetto Pecoraro fu quello che permise i funerali di Priebke e che disse che la mafia non esisteva a Roma. Non solo chi permise che punti cruciali del tragitto verso lo stadio in quel maledetto 3 maggio rimanessero senza sorveglianza. Ma lì c’è anche la Napoli migliore, quella di una madre straordinaria, di una famiglia eccezionale. E la Roma che la insulta è quella che mi fa soffrire, così come mi vergogno della Napoli violenta e camorrista. E se fossero stati fatti i cori contro la mamma di De Falchi – noi non l’abbiamo sentiti -, allora mi indigno ancora di più per quella fetta. Ma 60.000 persone sono state civili e caldissime”. E continua, su quel ragazzo morto il 25 giugno del 2014. “Fa male la verità che non viene a galla. Come, per parlare di un figlio di Roma in un altro contesto, nella vicenda Stefano Cucchi. Ma ora c’è Pignatone, di lui mi fido. Forse anche perché non ha ambizioni elettorali”. Pausa, mi guarda. Probabilmente si riferisce anche a quel Vanni Corona che ha parlato alla Leopolda, ora nel totonomi come possibile primo cittadino. Glielo chiedo. “Veramente pensavo a De Magistris” sorride. E risponde per lui un passeggero silenzioso, che gli dice “Cu è stu Corona?”. Sorride ancora. E in verità un sondaggio l’ho fatto anche dalla stazione allo stadio e di Corona pochi sanno qualcosa. E non perché gli eroi a Napoli possano solo essere banditi: dal giovane Catello Maresca a Raffaele Cantone, non sono pochi i servitori dello Stato che subito ti vengono ricordati dopo una domanda del genere. La domanda che gli hanno fatto tutti in una giornata pazza, gliela faccio anche io. “Allora, farai il sindaco?”. “Insisti pure tu?” ribatte. Poi ci va giù duro. “Dovrei mettere in campo una candidatura ritorsiva come Bassolino, in ripicca verso l’isolamento subito anni fa? A me, ad esempio, interessano i bassoliniani, non lui: è diventato uomo di potere, a differenza di molti che lo sostengono. E’ stato un grande elemento di cambiamento Antonio, io l’ho sostenuto anche quando molti scappavano: ma ciò che voleva rivoluzionare, lo ha invece inglobato. E ha imparato a controllarlo”. Nato a Casoria, per un po’ a Bagnoli, vuole “una nuova classe dirigente. Sai cosa accomuna Napoli e Roma? L’esigenza di ricostruire un tessuto sociale, proprio a partire da un Pd che senza nulla togliere a Veltroni e Prodi, deve ancora costruirsi veramente. Loro lo vedevano come punto d’arrivo, io penso che ne serva uno di (ri)partenza. Ora. A Roma il Partito Democratico non ha negato i suoi problemi, anzi. Li ha affrontati: la mia lotta nel VI municipio, la sfiducia contro il presidente sostenuto da filiere di potere e di preferenze che non hanno nulla di politico e sistemi e metodi tutt’altro che democratici, così come il lavoro del mio amico Orfini e altri 14 commissari di municipio, lo dimostra. Così come i tentativi di sabotaggio che subiamo lì a Tor Bella Monaca, come i luoghi di incontro trovati chiusi e sprangati, per non dire di peggio. Non siamo come la Meloni che finge di non aver mai incrociato Alemanno. A Napoli, invece, stiamo provando a riprenderci dagli ultimi anni, disastrosi, e sento un vento nuovo che spazzerà via gli ultimi tempi, le ultime consultazioni provinciali, regionali, primarie, nazionali, tutti momenti rovinosi della nostra storia. Ma c’è da abbattere una logica correntizia in cui faccio fatica persino ad orientarmi. Ecco di questo dobbiamo parlare, prima di pensare a un candidato sindaco che pure va trovato in fretta. Di una nuova classe dirigente e questo sì, io voglio contribuire a costruirla. Ecco perché Anna Lisa Leonardi, che a Platì si proporrà come sindaco contro tutte le logiche criminali, con coraggio, l’ho sostenuta fin da subito, ha iniziato a lavorare con me e ci ho creduto. E sono felice che Matteo Renzi l’abbia presentata alla Leopolda, dando un segnale forte”. Si deve ripartire da una lotta “per le periferie dimenticate, da Tor Bella Monaca a Scampia, così simili per l’infiltrazione criminale altissima e la conflittualità sociale, e contro gli interventi spot che non guardano alle città vere, nascoste. Dai Fori Imperiali al Lungomare partenopeo, a Via Caracciolo, pedonalizzazioni tanto belle quanto inutili, se estemporanee e non inseriti in una strategia complessiva”. Il problema è la “non amministrazione. In un mondo come quello della politica in cui l’onestà è diventato un elemento fondante dell’analisi politica e non una conditio sine qua non, si crea un equivoco come quello di De Magistris: non fa il sindaco, perché c’è a chi basta la sua onestà. Ma nel frattempo la città muore. E nella lotta attuale c’è qualcosa di nuovo? Il Movimento 5 stelle che non propone ma ci dà dei ladri, Lettieri che è in campagna elettorale da 5 anni e in modo solo distruttivo? Il Pd, a partire da Bassolino, ha la responsabilità di non aver mai guardato a un ricambio generazionale, Antonio ha sempre usato logiche soffuse e da vecchia politica anche di fronte a richieste dirette”. Di solito calmo, si infervora. “De Magistris e Bassolino sono figli di un individualismo politico che non è leadership, ma egocentrismo. E uccidono il centrosinistra, così, vivono su un equivoco”. Ecco perché sposta l’obiettivo. “Noi dobbiamo trovare il migliore da mettere in campo. Non mi tiro indietro, anzi, mi assumo sempre più responsabilità di quelle che dovrei e mi converrebbe. Ma senza personalismi. Ci sono grandi risorse per il mio partito, per la mia città, per il paese: dobbiamo creare una Rete di persone che si riconoscano, diverse dai soliti noti. E ai miei coetanei, ai possibili compagni di strada dico: smettiamola di marcarci, di vedere nella sconfitta altrui una vittoria. Guardiamo oltre”. E di sicuro “De Magistris non sa farlo. Basta vedere come rivendica un risultato nella raccolta indifferenziata ridicolo – un punto percentuale in più rispetto a Rosa Russo Jervolino in questi anni, aumentato di 11 secondo una sua ultima dichiarazione non ancora verificata – quando comunque aveva promesso che si sarebbe arrivati al 70% in un anno”. De Magistris cavaliere solitario, Bassolino “salvatore della patria, così gli piacerebbe rappresentarsi, ma non lo è” e un “Pd in ritardo, che ha bisogno di una svolta in queste vacanze di Natale per spezzare il quadripolarismo partenopeo che vede centrosinistra, centrodestra, M5S e De Magistris quasi alla pari. Ma con noi quarti nei sondaggi”. Le elezioni napoletane saranno decisive. “Dobbiamo cambiare la città, è Napoli al centro dei miei pensieri, non il mio futuro. Ho pensato in passato a candidarmi, molte volte, ora non lo escludo ma mi interessa solo trovare il miglior uomo per far rinascere il partito a Napoli e la città. Invertire la tendenza di un’Italia poco attenta al Sud, di un Sud che va in direzione opposta alla rottamazione renziana che tanto ha fatto bene al paese”. Non solo Bassolino e soci, ma anche De Luca e Orlando, Bianco ed Emiliano. Una sinistra che non si rinnova, ma al massimo cambia vestito e che va avanti a blocchi di potere. “Ma di De Luca, lo dico, apprezzo l’inversione di tendenza: azzera le consulenze, cerca una svolta amministrativa, laddove il centrodestra ha depredato la Campania. Poi, dobbiamo andare ancora più avanti, lo ribadisco. Non possiamo essere solo spettatori, non più: Napoli deve essere la culla di una nuova classe dirigente, anche a livello nazionale. I politici napoletani ora non hanno rapporti con la loro società civile, non ci sono grandi donne meridionali in posizioni di governo. Queste sono le battaglie. Non bisogna giocare come la Roma, tutti dietro la palla, a far catenaccio. Non ci serve un pareggio immeritato, dobbiamo vincere e convincere. Serve Sarri, ma anche Higuain: una battuta che ho fatto diverso tempo fa e che Bassolino nella sua conferenza stampa mi ha rubato”. Un esempio forse banale, ma illuminante, di una generazione, quella dell’ex sindaco e governatore, vampira. In tutto. “Non mi interessa. Non dobbiamo lottare con loro, ma superarli. Voglio un Oscar Farinetti meridionale, voglio delle Serracchiani, delle Marini, delle Guidi, delle Pinotti, delle Boschi del Sud per intenderci, voglio un progresso collettivo. E sì, voglio essere in prima fila in questa battaglia. Come, poi, lo vedremo. Posso essere Sarri, Higuain ma anche Hamsik che dalle retrovie cambia il match e magari il campionato. E soprattutto voglio andare in contropelo: non agire per convenienza, ma per un progetto a lungo termine. Il nostro candidato deve pensare un programma a 10 anni, non ne bastano 5”. Il treno sta arrivando. E l’impressione è che in questo periodo, come con il Napoli, bisogna guardare al gioco. Da lì verranno i risultati. E che la generazione di Gennaro Migliore, che è anche la mia, debba riprendersi quello che le è stato depredato. L’ultima battuta, forse, è la più sorprendente. “Visto che ti piace andare contropelo e che pochi dalle tue parti contestano Renzi, secondo te cosa sbaglia?”. “Ben poco, Boris. Questo è il governo – attenzione, il governo, non il partito – più di sinistra degli ultimi decenni. Forse se devo trovare un errore è che media troppo. Ma il leader è lui, non io. E per la mia esperienza con la crescita democratica sudamericana, so che la politica non può prescindere da un leader per salvarsi. Temere la figura di chi rappresenta una direzione nuova e diversa è conservatore: pensaci, la sinistra che si autodefinisce tale, è passata solo dall’antiberlusconismo all’antirenzismo, l’alibi migliore per criticare senza intervenire sulla realtà. Ormai è divenuta, questa ossessione dell’”anti”, una malattia degenerativa della sinistra, come dimostra l’articolo di Saviano contro la Boschi, approssimativo, inesatto e ideologico. Perché lì il campo da gioco non è l’inchiesta, ma la contrapposizione fine a se stessa. Un leader è necessario: senza Lula, Bachelet e Morales, quel continente sarebbe in una condizione ben più drammatica. I leader, quelli veri, hanno salvato la democrazia. I ceti politici, così come le resistenze dei territori e dei loro privilegi, l’hanno annacquata”. Roma Tiburtina, si scende. Ma l’impressione è che Migliore il treno di Napoli non lo debba perdere. E che Napoli non debba perdere il treno…Migliore