Quando la Coppa Italia resta nel cuore più della Champions

L’intervista a Pino Taglialatela e l’unicità del tifoso napoletano: va bene Cavani e Lavezzi, ma vuoi mettere Turrini e Schwoch?
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    di Domenico Zaccaria

    Ci siamo esaltati per Lavezzi e Cavani ma non li abbiamo mai amati alla follia, perché in un angolo del nostro cuore ci sono Turrini e Schwoch, e non sarà facile scalzarli. Abbiamo goduto nelle notti di Champions contro il Manchester City e il Chelsea, ma ancora ci commuoviamo quando pensiamo alla semifinale di Coppa Italia contro l’Inter. Per un tifoso del Napoli, poter parlare al telefono con Pino Taglialatela rappresenta un’emozione che solo chi ha condiviso le (poche) gioie e i (tanti) dolori dei primi anni 90’ può comprendere. Perché se oggi il Napoli è ai primi posti in classifica lo dobbiamo ad Aurelio De Laurentiis; ma se noi tifosi siamo quel che siamo, lo dobbiamo anche alle sofferenze di quegli anni maledetti. Anni in cui indossare la maglia azzurra voleva dire lottare per traguardi poco prestigiosi senza la certezza dello stipendio a fine mese; anni in cui indossare la sciarpa azzurra voleva dire sperare in una tranquilla salvezza in attesa di un’estate di trepidazione per l’iscrizione al successivo campionato. E’ per questo motivo che tra i giocatori di quegli anni e noi tifosi si è creata un’empatia che il tempo – e nemmeno i recenti successi – riescono a cancellare. Martedì sera, nel corso di “Manà MaNapoli” su Radio Manà Sport, insieme a Boris Sollazzo ho avuto il privilegio di intervistare Pino Taglialatela. Verso la fine della chiacchierata non ho resistito: ho smesso i panni del giornalista e ho indossato quelli del tifoso. E gli ho confessato che quel Napoli-Inter della Coppa Italia 1996-97 vissuto in Curva B resta il mio più bel ricordo con la sciarpa azzurra al collo. Non era una domanda, ma la semplice condivisione di un’emozione. Pino, a sua volta, ha smesso i panni dell’opinionista e ha rivelato che anche per lui quella gara rappresenta qualcosa di particolare: come tifoso, non come ex calciatore. Ha parlato dei brividi che gli provocarono quegli 80mila innamorati (la capienza del San Paolo non era stata ancora ridotta) che trascinarono alla finale una squadra messa in piedi con gli scarti degli altri. Va bene la Champions, ma vuoi mettere quella sera? Magari anche lui, come me, tre o quattro volte l’anno sente il bisogno di rivedere il mitico filmato del gol dell’1 a 1, quello in cui Bruno Pizzul scambia il nerissimo Beto con il bianchissimo Caio. Fu un lampo di gioia in un periodo buio. Ma io un boato così impressionante non l'ho mai sentito in nessun altro stadio d’Italia.

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