Il mio Juve-Napoli 1-3 / La testata nell’auto e quelle sciarpe sventolate il giorno dopo fuori scuola
di Francesco Bruno
Quella contro i bianconeri è da sempre la partita dell’anno, il nostro personalissimo clasico. Se il coro più gettonato al San Paolo è ancora adesso “chi non salta bianconero è…”, un motivo ci sarà. Sarà che la Juventus ha sempre rappresentato la Torino nebbiosa delle fabbriche verso cui esternare la nostra totale diversità partenopea, fatto sta che negli anni ’80 e ’90 durante ogni partita a un certo punto, a prescindere dall’avversario, partiva “il lunedì che umiliazione, andare in fabbrica al servizio del padrone…”. Con grande soddisfazione ho notato che il testa a testa tricolore di quest’anno ha riportato in auge sugli spalti azzurri questo coro che, cantato con continuità e costanza, può considerarsi la risposta napoletanamente ironica ai beceri cori anti Napoli.
Quasi sempre i nostri ricordi più belli riguardano epiche sfide contro la Vecchia Signora. Il primo flashback calcistico che mi viene in mente è quello dell’esultanza da ragazzino in Curva B al pareggio di De Rosa nel Napoli-Juve dell’83-84. E mi commuovo ancora se penso al graffio maligno di Diego del 3 novembre del 1985 o se ritorno indietro al memorabile 3-0 in Coppa Uefa, con gol di Renica al 119esimo minuto. Ma è scontato che il primo posto sul podio dei miei ricordi azzurri sia occupato dall’1-3 a Torino di trent’anni fa. 9/11/1986: lo ricordo limpidamente come fosse ieri. Avevo sedici anni e quella domenica ero andato con i miei genitori e mio fratello – purtroppo inspiegabilmente milanista – ad Ascea a trovare gli zii di mio padre. Quando Enrico Ameri, intervenendo dal Comunale, annunciò “attenzione… Napoli in vantaggio” lanciai un urlo e diedi una capata sotto al tettuccio della Regata di mio padre, facendo esclamare a mia zia un “Marunna” in perfetto asceota. Il giorno dopo a scuola vissi l’antipasto della grande festa che si sarebbe celebrata qualche mese dopo per le strade di Napoli. Con alcuni amici avevo deciso di portare, ben mimetizzate nello zaino, sciarpa e bandiera azzurre da tirare fuori al segnale convenuto. Appena arrivato fuori scuola compresi che non ci sarebbe stato bisogno di alcuna cautela: c’era una marea di sciarpe, bandiere e Gazzette dello Sport che venivano agitate al suono di “Olè Olè Olè Olè, Diego Diego…”. In classe la professoressa di storia e filosofia, già in generale bersaglio dei nostri scherzi a sfondo calcistico quando le propinavamo le innovative tesi del critico storico Stefano Tacconi, più che fare lezione passò l’ora a cantare con noi “Oh mamma mamma mamma…”, alla faccia dei miei compagni di scuola juventini.
Mamma mia, che ricordi. Non avrei mai pensato, in trentotto anni di tifo azzurro, di poter vivere per la seconda volta le emozioni di un Juve-Napoli con una posta in gioco così alta, sognando seriamente di vincere il tricolore. Una carriera da tifoso azzurro fortunata la mia, non c’è che dire.