Avevo 9 anni, Napoli-Fiorentina mi rivelò un dogma: arbitri infami
di Giulio Spadetta
Siamo nel 1977, è maggio, è una bella domenica di sole, di quelle che annunciano un’estate piena di promesse. Tocca prendere parte a un raduno familiare causa prima comunione di un cugino, ma il pranzo si svolge in una bella villa di Vietri sul Mare, ci saranno altri bambini, si mangia, si gioca, insomma nella testa di uno di neanche 9 anni non si sarebbero dovute affollare ansie o pensieri cupi.
Peccato però che il bambino in questione fossi io, già malatissimo del Napoli. E quella domenica c’era l’ultima partita del campionato, prima di un’astinenza che non sarebbe stata mitigata da Mondiali, Europei o altri metadoni. Tra l’altro quel Napoli-Fiorentina non era ininfluente: con una vittoria avremmo ancora potuto conquistarci l’accesso in Coppa Uefa. La stagione, va detto, non era stata esaltante. A un girone d’andata decente era seguito un ritorno pieno di mazzate, dovute anche alla corsa in Coppa delle Coppe, dove avevamo vissuto un’avventura dapprima esaltante e poi amarissima: passammo i quarti battendo lo Slask di Wroclaw e arrivammo alla semifinale con l’Anderlecht. L’andata si giocò a Napoli (San Paolo stracolmo), ma non c’era la diretta Tv. Alla radio, Sandro Ciotti ci raccontò l’incredibile gol di Bruscolotti nel finale. Il ritorno invece fu trasmesso in diretta. E lì noi bambini capimmo il significato di “sopruso” e “ingiustizia”. Insomma l’arbitro era un corrotto che ce ne combinò di tutti i colori e alla fine perdemmo 2-0.
Sì, sembra che questa storia non c’entri nulla con Napoli-Fiorentina, invece c’entra, perché noi con gli arbitri stavamo avvelenati di brutto.
Comunque quella domenica ero rassegnato. Nonostante mio padre fosse abbonato, quella partita l’avremmo persa per colpa di mio cugino in saio bianco, primo-comunicato in quel di Vietri. Deportato sul Golfo di Salerno, lo stadio per me era un miraggio lontano. Avrei passato il pomeriggio ad elemosinare notizie della partita chiedendo ai miei zii, che però erano di Salerno pure loro.
Avvilito da queste grigie previsioni, mi aggiravo scoglionato per questa villa con una manciata di confetti in mano, attento a non rovinare gli odiati “mocassini nuovi” che quella santissima donna di mia madre mi aveva costretto a calzare nonostante proteste vibranti, che tuttora non mi paiono del tutto ingiustificate: “Scusa, quella è una villa, quindi c’è un prato, se c’è il prato si può giocare a pallone, allora mi metto le scarpe da ginnastic…” (a questo punto della discussione mia madre porta il taglio della mano tra i denti, accompagnando il gesto con uno strano barrito, poi comincia a canticchiare a denti stretti “Come prrrrima, più di prrrrima”, insomma c’è aria di pacchero in arrivo, meglio soprassedere).
Ora però è il momento di ristabilire una verità storica. Avete presente quelli che si atteggiano a nostalgici del calcio che fu, e vi fanno due palle tante finché non arrivano a dire la puttanata suprema: “E poi, vuoi mettere, quando tutte le partite iniziavano alle tre?”. Li avete presente a quelli lì? Bene, è ufficiale: sono dei mentecatti. Le partite NON cominciavano alle tre. D’inverno il fischio d’inizio era alle 14,30. Poi a marzo si cominciava alle tre, ma verso la fine del campionato si giocava alle 16, o addirittura alle 16,30.
Insomma quel Napoli-Fiorentina non cominciava alle tre, ma molto dopo. A Vietri sul Mare c’è un casello dell’autostrada. A Fuorigrotta c’è l’uscita della Tangenziale. Mio padre aveva l’abbonamento in tasca, casualmente. Noi il dovere nostro lo avevamo fatto. Il regalo lo avevamo portato. I convenevoli coi parenti di Salerno li avevamo scambiati. Mo’ che dovessimo aspettare pure il caffè non stava scritto da nessuna parte. E uno zio che riportasse mia madre a Napoli ci stava, a quella cazzo di festa. Insomma senza neanche capire che accade, mi ritrovo nella 131 di mio padre, sparati a bomba verso lo stadio. E c’è pure mia sorella grande, al suo debutto. Ecco, lo sapevo che sarebbe successo, mo’ ci portiamo pure le femmine allo stadio. Non doveva essere una cosa che facevo io, e solo io con mio padre, senza sorelle di mezzo?
Comunque quando comincia la partita uno non pensa più a niente. Forza Napoli e basta. Solo che a metà del primo tempo la Fiorentina va in contropiede, e Mimmo Caso tocca in pallonetto sul portiere Carmignani in uscita. La palla comincia a rimbalzare lentamente verso la linea di porta. Dall’altro lato però sta arrivando di corsa il nostro stopper Sauro Catellani da Pegognaga in provincia di Mantova. Ci penserà lui, no? Sventerà la minaccia, non è vero? Catellani ha una testa piena di capelli ricci e tanta buona volontà. Si lancia in spaccata. E la mette nel sette. Stiamo perdendo.
Nel secondo tempo proviamo ad attaccare ma facciamo un sacco di confusione. Poi Juliano passa a Savoldi, altro tiro un po’ moscetto, però la palla urta il palo e va in rete. Ora ci crediamo. Ora vogliamo vincere. E allora via all’arrembaggio.
A tre minuti dalla fine c’è un passaggio in area per Massa. Peppiniello controlla e si lancia verso il fondo, ma viene sgambettato. Rigore. Rigore? No. Rimessa dal fondo. Tutti i nostri circondano l’arbitro. La Fiorentina intanto batte la rimessa, e così parte un’azione di contropiede e Caso arriva da solo davanti a Carmignani e segna il due a uno. Succede il finimondo. Gli animi si placano a stento e si rimette finalmente la palla al centro, solo che Juliano invece di toccare per il compagno accanto a lui, calcia direttamente il pallone addosso all’arbitro e viene espulso. Io solidarizzo con Totonno. A questo punto un tifoso perde la testa, fa invasione di campo e comincia a correre verso l’arbitro, che non si era accorto di nulla. Viene bloccato a stento e portato via. Io solidarizzo col tifoso.
La partita finisce. Abbiamo perso due a uno, ma dopo questi incidenti il Napoli subirà anche la penalizzazione di un punto, perché eravamo recidivi. E comunque dopo Napoli-Fiorentina del 1977 nella mia vita ci sono due punti fermi. Il primo: arbitri infami.
E il secondo punto è veramente da vecchio bambino meridionale incazzato e retrogrado. Il secondo punto è questo: le femmine allo stadio meglio di no.