1992: anche il Napoli crollò sotto i colpi di Tangentopoli
di Errico Novi
Chissà perché si era scelto piazza del Gesù, per presentare il nuovo Napoli. Piazza Plebiscito no, certo, era troppo grande. E poi è vero che eravamo nell’estate del “mitico” 1992, a Milano era scoppiata Tangentopoli, ma a Napoli si ballava ancora allegramente, e piazza Plebiscito era adibita a parcheggio per auto. Piazza del Gesù comunque sembrò perfetta a Ferlaino. C’era da presentare il nuovo grande acquisto: Daniel Fonseca. Con lui gli altri idoli, quelli che nella stagione da poco conclusa ci avevano assicurato un ottimo quarto posto: Careca, Zola, Crippa, Ferrara. Si decise di scomodare per l’occasione Alba Parietti. A lei la folla rivolse il coro più impetuoso: sulle note di Stars and stripes forever, anziché l’ormai lontano “Maradò, Maradò, Maradòòò” partì un “chiavatò, chiavatò, chiavatòòò”. La mia fidanzatina mi vide unirmi all’urlo e si incazzò. Non si rese conto che non eravamo allupati in delirio, ma l’equivalente del “facce ride” con cui la platea intimidiva gli attoruncoli dell’avanspettacolo.
Fonseca ne fece cinque a Valencia. Poi il Milan ne fece cinque al San Paolo, Ranieri venne esonerato e fu l’inizio della catastrofe. Quella squadra era costata parecchio. Oltre all’uruguayano dai denti a coniglio erano arrivati Thern, Policano, Pari e Nela. Briciole, forse, per la Napoli che aveva accompagnato Ferlaino nell’acquisto di Maradona. Il punto però è che quella Napoli stava per sgretolarsi, per sempre.
Ferlaino si era indebitato sulla fiducia. Cioè, confidando nel fatto che i risultati sarebbero stati superiori all’anno prima. E soprattutto, sicuro che il suo tradizionale retroterra di potere fosse intoccabile. Era il neapolitan power degli anni Ottanta, che vedeva per esempio il Banco di Napoli nelle mani di un generoso presidente, Ferdinando Ventriglia. Uno abituato a decidere se prestare soldi alle imprese, Calcio Napoli compreso, sulla base dell’ottimismo. Nel 1984 Diego Maradona era arrivato anche grazie al sostegno incondizionato dei più grande istituto di credito del Sud. Ma quella gestione, nell’estate del 1992, era già finita nel mirino della Banca d’Italia, che nel giro di pochi mesi avrebbe imposto la rivoluzione ai vertici. Prima ancora però del repulisti in via Toledo, a inizio 1993 arriva anche qui Mani pulite. Un uragano. Uno dopo l’altro cadono mister centomila preferenze Alfredo Vito, Giulio Di Donato, Francesco De Lorenzo. Viene coinvolto nelle inchieste soprattutto Enzo Scotti, fino all’anno prima ministro dell’Interno, storico referente di Ferlaino. E l’onda finisce per travolgere lo stesso Ingegnere: raggiunto da un ordine di arresto, si costituisce il 26 maggio 1993. Confessa i rapporti con Vito, ammette di aver pagato tangenti per entrare nel Consorzio di bonifica dei Regi Lagni. Va subito ai domiciliari. Attorno tutto crolla, il mondo che gli aveva consentito bene o male di essere un protagonista dell’imprenditoria napoletana è spazzato via. Tre settimane dopo, il 16 giugno, Corrado si dimette da presidente. Gli subentra Ellenio Gallo, consigliere anziano, che andrà avanti con altri dirigenti come Mario Moxedano. A Ferlaino resta il pacchetto di maggioranza. Ma ormai il Napoli, più che vittorie, accumula debiti. Il campionato ’92-’93 finisce con un modesto undicesimo posto, a pari punti col Foggia. Inizia lo smantellamento della squadra. Tangentopoli si porta via anche il sogno del pallone. Almeno qui da noi. Non un motivo per rimpiangere gli anni allegri dei superministri e delle mazzette. Ma per interrogarsi, questo sì, su cosa sia stato il dopo.