Nino ha avuto paura di sbagliare il calcio di rigore. E ci ha lasciato troppo presto

Addio a Musella, talento azzurro che non sbocciò mai del tutto. Era il bimbo che si scartava un'intera squadra ed entrava in porta col pallone
  • di Errico Novi

    Seguivo da poco il calcio. Non ero neppure un ragazzino. Eppure già avevo sviluppato la mia malattia per i talenti sprecati. Dicevo: ma se per tutti questo Musella è così forte, perché gioca così poco? E che vuol dire eterna promessa? E non capivo, non capivo proprio. Se uno è forte, è forte è basta. Che c’è da discutere?

    Non lo capisci mai, in realtà. Però poi arriva una fredda mattina di settembre e un turista tedesco scopre che su una spiaggia dalle parti di Finale Ligure c’è il corpo senza vita di un uomo. Quell’uomo aveva 53 anni, era nato a Napoli il 22 gennaio del 1960. Si chiama, si chiamava Gaetano Musella.

    Serve a capire, tutto questo? No, in realtà non basta mai veramente. Però forse sai un po’ meglio cosa vuol dire talento. Dovevamo saperlo già perché c’è scritto da sempre, nel Vangelo. Vuol dire che si può avere una grande ricchezza ma poi non bisogna far passare il tempo. Vuol dire che il talento da solo non basta. Lo capisci sempre troppo tardi. Chissà se Nino ci era riuscito.

    Dice di sì. Pare che un giorno, quando era passato tanto tempo da che non giocava più con la maglia azzurra, avesse detto: «Sinceramente, non sono stato capace di gestire i miei momenti importanti». Adesso forse un po’ lo sentiamo anche noi, ci arriva meglio quella sua frase. Pensavamo che bastasse il talento. Non è così, non è mai così. E non fai mai in tempo a tornare indietro. Un momento importante Nino Musella lo ebbe per esempio nella sua ultima stagione a Napoli. Campionato 81/82, secondo anno di Krol. Il nostro 10 di allora segnò il gol del vantaggio con l’Inter, una rete bellissima. Vincemmo 2-0. L’anno prima avevamo sprecato nelle ultime cinque giornate una cavalcata fino ad allora memorabile, che ci aveva portato in testa alla classifica a pari merito con Juve e Roma. Dopo quella prodezza di Nino contro i nerazzurri tornò l’illusione di potercela giocare ancora, e stavolta magari vincere. E invece.

    E invece Nino ricominciò con i troppi stravizi, le troppe pause. Qualche grande giocata, poi scompariva nei suoi tormenti. Era coetaneo di Maradona, all’epoca aveva 22 anni. Ce li ha anche Lorenzo Insigne adesso, li ha appena compiuti. E se solo un pezzetto della sua assennatezza ce lo avesse avuto anche Nino Musella, chissà magari lo scudetto sarebbe arrivato persino prima di Diego.

    Piangiamo la scomparsa di questo ex giocatore del Napoli (lo fu dal 1977 al 1982, 68 partite e 13 reti in quattro campionati con una parentesi a Padova) perché Nino fu il campione che tutti noi abbiamo avuto vicino da piccoli. Quello che nella sua squadretta di strada quand’era bambino si scartava tutti ed entrava in porta col pallone. Tutti abbiamo avuto un compagno di giochi così. E abbiamo tentato inutilmente di marcarlo. E non è possibile che quell’amico più forte di tutti ci lasci. Perché certe partitelle finiscono solo quando si fa buio. E non te ne puoi andare da solo col pallone.

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