Miguel Reina: "Mio figlio Pepe è un eterno ottimista. Il suo ritorno a Napoli è simbolo della sua ambizione".
Di Antonio Moschella
Fonte: Il Mattino
Miguel Reina (Cordova, 1946), non è solamente il padre di Pepe e l'ex assessore allo sport della sua città d'origine. Portiere di livello internazionale nel Barcellona e nell'Atletico Madrid degli anni '70, attualmente si dedica a tempo pieno alla sua famiglia e l'ultima volta che ha trascorso del tempo con l'attuale portiere del Napoli è stato poco prima dell'ufficializzazione del ritorno di quest'ultimo in azzurro.
Come ha visto Pepe prima della sua partenza per l'Italia?
L'ho visto contento ed emozionato. È convinto della scelta fatta, soprattutto per l'ambizione che lo contraddistingue. Egli preferisce essere cabeza de ratón que cola de león (protagonista in una realtà minore rispetto ad essere comprimario in una più importante). Ma soprattutto vuole divertirsi giocando a calcio. Essendo molto riservato mi ha nascosto i dettagli della trattativa fino all'ultimo, ma adesso è prontissimo per difendere la porta azzurra.
La sua allegria ha lasciato ottimi ricordi a Napoli...
Lui è così da sempre. È un eterno ottimista. È uno di quei calciatori che fanno gruppo e che sono in primis ottime persone. Se io fossi un allenatore vorrei sempre uno come lui in squadra.
Anche lei è stato portiere. Quali sono stati i suoi principali insegnamenti?
Di non aspettare il pallone ma di andargli incontro, così come di incoraggiare continuamente i compagni, di gridare per farsi sentire e comandare così la difesa. Ma soprattutto di farsi volere bene, perché nella vita tutto è effimero e l'unica cosa che resta è il ricordo di una brava persona.
Come gli trasmise la passione per il calcio?
Visto che è il più piccolo dei miei figli ed essendomi io ritirato dall'attività agonistica, riuscì a dedicargli più tempo e lo iniziai al calcio in maniera diretta. Mi resi conto che sarebbe arrivato lontano quando a tredici anni superò il provino per entrare alla Masia del Barcellona.
Lei ha vinto due premi Zamora (portiere meno battuto in Liga ndr) a livello individuale, ma Pepe la supera in quanto a trofei di squadra.
Ogni calciatore è un elemento di una squadra le cui sorti dipendono dall'andamento di tutti i componenti. Pepe ha giocato in squadre eccezionali e ha meritato quei titoli perché nel calcio si vince e si perde insieme.
In molti lo elogiano soprattutto per le sue capacità di leader dello spogliatoio.
La sua positività è irradiante e contagiosa. Nella vita bisogna essere in primis dei buoni compagni e lui lo è. Tutti i componenti di una squadra dovrebbero dare il loro meglio per il bene comune, dal punto di vista tecnico e psicologico.
In molti pensano che l'anno scorso con lui il Napoli avrebbe fatto molto meglio. Come mai ha scelto di andare al Bayern?
Se Pepe è voluto andare a Monaco è stato per la voglia di una nuova sfida e di poter competere con il miglior portiere del mondo (Manuel Neuer ndr).
Poi però il richiamo di Napoli, per un ragazzo di origine andalusa, è stato troppo forte.
Non c'è dubbio. Pepe è nato a Madrid ma io e sua madre siamo di Cordova, un luogo molto simile a Napoli nel quale la passione e il calore umano sono fortissime.
È mai venuto a trovarlo a Napoli?
Sì, un paio di volte. La città è fantastica e non dimenticherò mai quando ci portò a pranzo in un famoso ristorante vicino al porto. Io sono stato anche cuoco ma non ho mai assaggiato delle aragoste così deliziose. Per non parlare della mozzarella...
Il suo legame con la città sembra molto forte, visto che vi è tornato spesso l'anno scorso.
Senza dubbio. Pepe a Napoli ha tantissimi amici che sono venuti anche a trovarci qui in Spagna. E sicuramente le ambizioni della società sono sulla stessa lunghezza d'onda delle sue.
Non crede che un anno di inattività lo abbia potuto arrugginire un po'?
Assolutamente no. Pepe è in perfetta forma, è un professionista serio ed è motivato dalla nuova avventura che lo aspetta. Se lui è tornato vuol dire che è convinto della bontà del progetto. Meglio di lui nessuno può saperlo.