Non tifo per l’Italia, ma Insigne può stupire come Baggio nel ’90
di Francesco Bruno
Premetto che non tifo Italia. Non faccio il tifo contro ma seguo ormai da tempo le varie competizioni calcistiche per nazionali con sereno distacco. Con il sereno distacco di chi, amante del gioco più bello del mondo, si siede davanti alla tv per ammirare belle giocate, calciatori conosciuti e da conoscere, schemi tattici e festose e colorate tifoserie. D’altronde non vedo perché dovrei tifare per una squadra che rappresenta una comunità in cui non mi riconosco. Uno come me che ai tempi del liceo, invece di avere appeso in camera il poster del Duce, del Che o di Jim Morrison, aveva come unica ideologia credere in Diego, come può sentirsi parte di una comunità che, giusto per ricordarlo, fischiò Maradona nella finale di Roma del 1990 e offende i napoletani quasi ogni domenica in quasi tutti gli stadi? E più in generale, perché dovrei tifare per una squadra che rappresenta una nazione incapace, come già scritto in passato, di offrire servizi che dovrebbero essere costituzionalmente garantiti come sanità, istruzione, politiche sociali, sicurezza? Una nazione che anzi propina modelli di comportamento e interpretazioni dei fatti quotidiani che stravolgono completamente la realtà, sforzandosi di trovare il modo per sbattere in prima pagina, un giorno sì e l’altro pure, i cattivi partenopei, come i tristi fatti di Roma hanno ancora una volta confermato.
E allora, alcuni buoni motivi per godermi i Mondiali brasiliani li ho trovati. Meno male che c’è #Extrabrasile su Extranapoli per seguire un po’ tutte le partite, meno male che c’è l’Argentina del Pipita Higuain (ma anche del bistrattato Flaco Fernandez), ma soprattutto meno male che c’è Insigne che, partito da ultima ruota del carro, sta scalando posizioni nelle gerarchie di Prandelli.
In tanti negli ultimi giorni hanno paragonato Immobile a Schillaci, prevedendo l’esplosione dell’attaccante campano in corso di Mondiale, come accadde al Totò nazionale a Italia ’90. Ma se il paragone Immobile-Schillaci ci sta, sta in piedi anche quello Insigne-Baggio. Lorenzo si affaccia alla competizione mondiale quasi alla stessa età del Divin Codino, come lui parte dalla panchina ma, c’è da scommetterci, si guadagnerà dopo un paio di partite un posto da protagonista. Nonostante certa stampa, soprattutto del nord, sia rimasta scandalizzata dal fatto che il talento di Frattamaggiore sia stato preferito a Pepito Rossi, nessuno ha mai messo in dubbio che Lorenzo sia un predestinato, e che il suo futuro sia colorato dell’azzurro nazionale oltre che di quello partenopeo.
I numeri dicono che Baggio arrivò a quel mondiale con alle spalle 94 partite con 29 gol in serie A. Insigne ci arriva dopo aver giocato 73 presenze e segnato 8 gol in A. Una differenza apparentemente enorme, ma che si assottiglia se si fanno un paio di semplici considerazioni. Baggio giocava in una squadra di mezza classifica, come era la Fiorentina di quei tempi, in cui era più semplice trovare spazio. Insigne gioca in un Napoli in cui ci sono tanti campioni che si contendono il posto. Pochissime delle 73 presenze in serie A sono state per gli interi 90 minuti. Ma soprattutto è riuscito a giocare con Mazzarri, nonostante avesse un’età con cui, per l’ex tecnico del Napoli, si può giocare al massimo all’oratorio parrocchiale. E se a ventuno anni riesci a trovare spazio con Mazzarri in serie A, allora vuol dire che sei davvero un fuoriclasse.
Insomma, Insigne si trova in una condizione simile a quella in cui era Baggio alla vigilia di Italia 90. Parte inizialmente in posizione defilata, ma è molto considerato dal tecnico e da gran parte della critica. Visto il suo talento, e considerata la storia della nazionale italiana ai mondiali, presagire che Lorenzo possa rivelarsi una delle sorprese di Brasile 2014 non è un mero sogno da tifoso partenopeo. Ed io avrò finalmente un buon motivo per stare sveglio in queste torride notti estive.