Io, Pesaola e quell'incredibile salvezza
di Francesco Albanese
Appena 9 punti. Tanti ne collezionò il Napoli in quel funesto girone d’andata del 1982-83. Un calvario iniziato con il gentile Giacomini in panchina e che pareva non avere termine. Un’annata avviata al disastro sportivo tra vicissitudini societarie e incomprensibili flop di mercato. Tra questi ultimi come non citare l’acquisto di Ramon Diaz: salutato dai più come il vero botto del mercato estivo, a fine stagione l’ex River scriverà solo per tre volte il suo nome nel tabellino dei marcatori. Come se non bastasse in quella stagione la squadra indossò pure una tenuta con degli inediti inserti blu notte che dopo quindici partite (e numerosi gol subiti) lasciarono il posto al tradizionale bianco e azzurro. Insomma se quell’anno il Napoli non retrocesse fu soprattutto grazie all’arrivo in corsa del Petisso. Un autentico uomo della provvidenza che riuscì a raddrizzare una situazione più che disperata. Pesaola e i rigori sotto il sette calciati da Ferrario permisero al Napoli di non affogare e di gettare quindi i presupposti di lì a breve per l’arrivo di Maradona e di tutto quel che ne seguì. Personalmente vissi quella salvezza come un piccolo scudetto. Domenica dopo domenica quella voce flautata arruginita dalla nicotina mi convinse che l'impresa era possibile. Il fascino che quell'uomo esercitava su di me aumentò poi quando scoprii che era un argentino. Ma come era possibile? Un argentino col nome di un italiano? Avevo nove anni...Vivendo a Roma ero circondato dall’euforia che condusse Falcao e soci al secondo scudetto giallorosso (c’era ancora il gemellaggio) e potete immaginare che effetto fece su di me la cinquina vissuta allo stadio Olimpico, dove per giunta passammo in vantaggio con Diaz! Quel giorno capii quale sarebbe stato il mio destino di tifoso: poche vittorie, ma tanto orgoglio. Grazie indomabile Petisso.