Senz'anema e senza core

  • Di Antonio Moschella

    Il giorno dopo il caffè è più lasco del solito. Chi lo prende amaro come il sottoscritto non lo concepisce come qualcosa di dolce, ma oggi tutto ha un sapore peggiore. Mentre pian piano si diffonde la triste notizia della dipartita di BB King e la sua ‘Lucille’ risuona nella stanza, vengono fuori i forti rimpianti per la funesta serata ucraina del Napoli.

    Una serata iniziata male, con una pioggia battente che in parte faceva pensare alla possibile impresa, ma che invece ha finito con l’impantanare le zampe pregiate dei destrieri azzurri, favorendo quelle più solide dei muli del Dnipro, che nel doppio scontro ha meritato di passare. Perché se il tuo portiere subisce due tiri e due gol e il loro ne incassa solo uno su dieci conclusioni, allora è giusto che chi segni di più vada avanti, nonostante l’irregolarità di entrambe le marcature.

    Il pensiero va alle clamorose occasioni mancate da Higuain, bomber di razza da 5,5 milioni l’anno, che molti in Argentina chiamano pecho frío, letteralmente un ‘senza palle’, che dieci mesi fa in quel di Rio de Janeiro sciupò una palla d’oro solo davanti a Neuer. Il gol dell’argentino avrebbe cambiato l’andamento della gara, ma del senno di poi sono piene le cose.

    Oggi è tutto più amaro perché dopo 26 anni eravamo a un passo dalla storia. Non me vogliano i moralisti/buonisti che ricordano che negli ultimi due anni abbiamo vinto quasi un quinto dei nostri trofei: proprio perché era da tanto che non ci giocavavamo qualcosa di così grande la delusione brucia forte. La nostra storia di squadra passionaria e mai completa chiamava all’epica, alla vittoria. Accontentarsi di aver fatto bella figura - se così la si può chiamare - arrivando in semifinale per farsi battere in un doppio confronto (!) da una squadra che in Italia lotterebbe per non retrocedere, è da perdenti. O quantomeno denota poca ambizione.

    Il Napoli di ieri è quello dell’intera stagione. Senza anima, senza cuore, senza palle e senza stimoli contro chi non ostenta un vessillo imperiale contro il quale far uscire la rabbia. L’urlo di Mertens appena entrato è l’unica scintilla di orgoglio di un gruppo che quest’anno ci aveva fatto gioire con l’impresa di Doha, arrivata proprio con un colpo di pancia di Higuain, il più assente di queste due semifinali.

    Il futuro è ancora da scrivere: queste due settimane possono essere comunque fondamentali. Resterà però sempre quell’amaro sorso di vodka bevuto al bar dopo il mazziatone, ingoiato in fretta per non pensare. Ma che brucia ancora in quello stomaco vuoto di trionfi.

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