Caro (ex) amico giallorosso, non ti degno manco della vendetta
di Dario Bevilacqua
“Andando oltre la misura […] tutto viene sconvolto, e per l'esuberanza i corpi vanno incontro alle malattie, e le anime all'ingiustizia che è figlia della tracotanza”
(Platone, Leggi, 691c)
Era il maggio del 2001. Il Napoli, dopo una stagione penosa e disastrata, si avviava verso una delle più tristi retrocessioni della sua storia. La Roma, di contro, era lì lì per vincere il suo terzo scudetto. A una partita di calcetto, pochi giorni prima della penultima di campionato – Napoli-Roma, poi finita 2 a 2 – un mio amico (ma non eravamo più in grandi rapporti, a dire il vero), di fede romanista, pronunciò la seguente frase: “Che bello che domenica noi vinciamo lo scudetto e ve mannamo in serie B”. Così. Gratuita. A sfregio.
Ovviamente non replicai. Cosa dovevo dire? “Bravi?”.
Allora giurai vendetta. Fredda vendetta. Purtroppo la loro serie B è davvero improbabile, almeno nel breve periodo, e chissà se arriverà mai il nostro scudetto. Inoltre ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma il ricordo ancora brucia.
E ora, dopo questo 3-0 in semifinale di Coppa Italia, speciale perché ridimensiona le aspettative di una Roma che pensava di fare manbassa un po’ dovunque, perché dimostra che il divario in campionato è bugiardo, perché mette in evidenza la nostra forza e la loro fragilità, non mi viene nemmeno voglia di scrivergli, di prenderlo in giro per la stella d’argento mancata, per i proclami della vigilia (come al solito gonfi di hybris) sfumati in una notte più azzurra che mai.
Non ho voglia di vantarmi e di fare il gradasso perché la vanagloria è una cosa brutta. Lo era allora perché si faceva beffe di un tifoso in disgrazia, lo è comunque perché se hai la gloria è volgare e gretto vantarsene.
E i tifosi della Roma sono malati di vanagloria.
Come il mio ex amico, che doveva per forza fare il gradasso e l’arrogante, mentre poteva godersi il suo trionfo. La vanagloria, dicevamo: ma perché, se hai la gloria e la gioia della vittoria devi umiliare gli avversari? Nel calcio, come nella vita, oltre a saper perdere bisogna anche saper vincere.
I tifosi della Roma sono un fenomeno curioso: per molti versi simili ai napoletani, passionali e “caciaroni”, umorali e facili all’esaltazione. Anche loro, come i napoletani, ne hanno viste di tutti i colori: dal gol di Turone a una finale di Coppa dei Campioni persa ai rigori, per giunta all’Olimpico di Roma. Senza contare che dal 2001 in poi, con una squadra di fenomeni hanno collezionato solo due coppe Italia. Ce n’è abbastanza per essere perennemente in cerca di riscatto. Così i Napoletani cercano la rivincita nel pallone. Però, a differenza dei romanisti, forse anche per una maggiore sensibilità alla scaramanzia, i tifosi del Napoli non sono vanagloriosi – e di sicuro non lo sono prima di aver vinto, come i romanisti! –, non hanno l’arroganza del “fatece largo che passamo noi”, preferiscono lo sfottò colorito al “semo mejo de tutti”. La loro rivalsa se la prendono nella gioia dei (pochi) trionfi, non nel godimento dalle disgrazie altrui.
Ecco perché oggi non mi interessa tanto ridimensionare i tifosi della Roma – e la tentazione è forte, visto che Roma è la città in cui abito –, ma godere di una grande prestazione e di una grande vittoria, e dell’opportunità di un’altra finale.
È per questo che il mio ex amico giallorosso non riceverà alcuna e-mail di scherno. Non ne vale la pena. Vale la pena godersi questo grande Napoli, che non prende gol, che sta assimilando gli schemi di Benitez, che gioca un calcio bello e coraggioso e che rifila tre reti (ma con l’andata sono cinque), una più bella dell’altra, a una delle migliori difese del campionato.
Oggi come allora è inutile dire “Roma merda”, ci basta urlare “Forza Napoli!”.