Padania azzurra e la caduta che può farci diventare grandi
di Alessio Capone
Lunedì per questioni lavorative non potrò guardare la partita. E mi dispiace, parecchio. Dopo una disfatta come quella di giovedì avrei avuto tanto bisogno di 90' di Napoli. Ma tant'è, ne approfitto per buttare giù qualche pensiero sparso.
Fa male, è vero. Una sconfitta che lascia il segno soprattutto per il peso specifico che quella semifinale si portava dietro considerata la nostra storia, i nostri trascorsi, le nostre abitudini. La terza semifinale europea della nostra storia. Quanto siamo arrivati in alto. Cadere da simili vette fa male, se non si è abituati. E noi non eravamo abituati alle sensazioni di una semifinale europea. Personalmente conservo il ricordo piacevole dell'attesa, fino ad un'ora prima della partita, quando sono stato travolto da una commozione dilagante culminata in lacrime di gioia ed emozione.
Poi la partita. Un Napoli spaesato è annegato sotto la pioggia ucraina. La sua punta di diamante, quel Pipita finito sul banco degli imputati, si è perso nei suoi nervosismi e invece di trascinare la squadra è affondato per primo, scomparendo dal rettangolo di gioco venti minuti prima del triplice fischio. Questo, però, non può incidere sul giudizio che si ha di lui. Tanti prima di lui hanno passato momenti simili; quel Messi, ad esempio, buttato nella polvere dopo la finale brasiliana e insignito nuovamente del titolo di re dopo pochi mesi è l'esempio più recente e lampante. Gonzalo Higuain rimane un talento purissimo.
Parlare degli arbitraggi, affermare che al netto di certi scempi arbitrali – tra cartellini mai sventolati e fuorigioco assurdi – con queste due prestazioni saremmo comunque passati non è permesso. Si rischia di cadere nella solita solfa, il napoletano vittimista. Occorre dunque prendere questa sconfitta, interiorizzarla e farne tesoro. No, non eravamo abituati e forse ora non siamo in grado di razionalizzare un processo simile che, nel subconscio, stiamo comunque maturando.
Fallimento. Fallimento. Fallimento è stata la parola più utilizzata in questa stagione. Tutto ha avuto inizio a Bilbao. Un incessante clima d'inquisizione ha accompagnato la squadra da agosto ad oggi. Difficile lavorare in un clima così. Difficilissimo. Eppure ci siamo giocati la terza semifinale europea della nostra storia; eppure abbiamo messo in bacheca la seconda supercoppa italiana: anche quest'anno abbiamo vinto, festeggiato, abbiamo fatto caroselli, vissuto momenti di gioia infinita. Certamente rimarrà di più l'amaro per questa cocente delusione, perché è giusto che sia così, eravamo lì, ad un passo, ci abbiamo creduto e ci siamo scottati. Non eravamo abituati. Impariamo. Impariamo a non comprare più i biglietti della finale prima di averla conquistata, impariamo che le partite vanno giocate e le squadre non vanno sottovalutate.
Benitez è antipatico, non piace. Non piace ai media italiani e nemmeno a quelli partenopei. Non piace a molti tifosi azzurri. Benitez ha fallito. Eppure, al di là di due trofei in due anni, che rimanga o vada via, lo spagnolo consegnerà alla prossima stagione un organico giovane e abituato a giocarsi tutte le competizioni. Non eravamo abituati, adesso sì.
Dopo la sconfitta con l'Avellino in serie C l'amarezza fu simile e l'estate terribile. Ma il Ciuccio si rialzò da lì per cominciare a correre e arrivare fino a qui senza fermarsi più.
Chissà.