Caro Benitez ispirati ad Al Pacino
di Francesco Albanese
Basta la sfortuna a giustificare l'ennesimo boccone amaro della stagione? E' sufficiente limitarsi ad osservare che sul piano del gioco la squadra comunque è presente? Evidentemente no. Un'obiettiva analisi del crollo del Napoli non può poi prescindere dalle "sfortunate" direzioni di gara che hanno caratterizzato le ultime tre partite con Atalanta, Roma e Lazio. Tre match che ora pesano come un macigno sull'annata di Benitez e soci, costretti ad aggrapparsi a un sogno europeo tutt'altro che semplice da realizzare. Il ritiro ordinato da De Laurentiis forse potrà servire ad abbassare la temperatura nei rapporti tra la piazza e la dirigenza, ma sotto il profilo sportivo sarebbe da sprovveduti attendersi chissà quali risultati. Il provvedimento appare comunque tardivo per ammissione stessa del presidente che promuove i giocatori per le ultime due prestazioni, ma li boccia per quelle precedenti. Siamo ad una sorta di ritiro postdatato dunque. Quanto al campo non resta che soffermarsi su alcuni dettagli. Contro la Lazio si è avuta la conferma di quanto sia mancato a questa squadra uno come Lorenzo Insigne: classe e cazzimma al servizio dei compagni. La determinazione con la quale è entrato in campo deve essere da esempio per tutti gli altri fin troppo molli nell'affrontare le gare. Quante volye quest'anno abbiamo visto gli azzurri "morire" con il pallino in mano. Mancava sempre il guizzo, la giocata in grado di sovvertire l'esito di una gara in apparenza storta. Con l'eccezione forse del solo Zapata, raramente abbiamo visto i giocatori prodursi in finali infuocati in grado di superare le difficoltà del momento. Ecco perché uno come Insigne ci è maledettamente mancato. E che si tratti di scarsa determinazione lo testimoniano i due salvataggi sulla linea di cui si è resa protagonista la Lazio: si lotta centimetro dopo centimetro come insegna Al Pacino nelle vesti di coach in "Ogni maledetta domenica", a proposito ne consigliamo ora la visione nel ritiro di Castel Volturno. Questa voglia di sacrificarsi fino allo stremo è venuta meno nella convinzione che con il solo gioco di squadra si potesse alla fine prevalere. Non è così. Serve il gioco, serve la "garra". Naturalmente Benitez ha le sue colpe, ma quando lo spagnolo sottolinea che bisogna giudicare in base agli obiettivi prefissati non ha torto. Non siamo il Real Madrid, dove se non vinci la Champions League dominando in lungo e in largo sei un fallito. La nostra dimensione è un'altra mettiamocelo in testa.